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Scontro sul Jobs act, spiazzati Poletti e Madia. Estensione delle norme al pubblico impego: Palazzo Chigi si rimette all’Aula

Le parole di Matteo Renzi intervistato dal Quotidiano nazionale arrivano come una doccia fredda per buona parte del governo e una bella fetta del Partito democratico. Se in tanti, a partire dal ministro Marianna Madia, si sono affrettati a dire che «no, il Jobs act non si applica agli statali», è proprio il premier a rimettere tutto in discussione: «Sarà il Parlamento a pronunciarsi su questo punto, sollevato da Ichino. Esiste giurisprudenza nell’uno e nell’altro senso, ma non sarà il governo a decidere».

Il premier dà appuntamento a febbraio, quando la riforma del pubblico impiego, firmata da Marianna Madia, verrà discussa in Parlamento: «Saranno le Camere a scegliere, non mancherà il dibattito, certo». Parole che suonano quasi come una retromarcia rispetto a quanto sostenuto pure da Giuliano Poletti, ministro del Lavoro, che come la Madia aveva chiuso la discussione prima ancora di avviarla formalmente.

Ieri Poletti ha commentato: «Dirò la mia opinione quando il Parlamento affronterà la riforma della Pubblica amministrazione. E comunque non penso sia corretto anticiparla».

Resta il fatto che il premier, dopo essersi assunto la responsabilità per il testo dei decreti attuativi usciti dal Consiglio dei ministri il 24 dicembre, innesca un terremoto nel suo partito, tornando a sfidare la minoranza pd. Stefano Fassina, che guida il fronte degli oppositori al Jobs act , attacca direttamente il segretario del suo partito: «Fino a oggi nessuno aveva parlato di licenziamenti per motivi economici nella Pubblica amministrazione: ora Renzi usa la sponda di Ncd per portare avanti la sua linea. Questa è una scappatoia demagogica. Renzi scarica sulla pelle degli statali la carenza di investimenti e la mancata riorganizzazione del pubblico impiego. Così, però, si scatena una guerra tra poveri». Sulla stessa linea Cesare Damiano (Pd), che però preferisce ignorare Renzi e attaccare l’alleato di governo: «Questo è solo un polverone sollevato da Ncd in cerca di rivincite. Del resto il governo è stato chiaro: la norma non riguarda la P.a.». La partita, invece, resta aperta su un altro fronte: «Fin dall’inizio l’esecutivo ha sempre e solo parlato di articolo 18 e di licenziamento individuale, non collettivo — fa notare Damiano —. Chiederemo quindi di modificare questi articoli. Poi valuteremo nei decreti eventuali casi di “eccesso di delega”». E Ichino (Sc) insiste e dal suo blog sottolinea: «È semplicemente assurda l’esclusione dei nuovi assunti nella P.a. dalla nuova disciplina. Quando il governo ha deciso di non escludere dal campo di applicazione i nuovi assunti nel pubblico impiego erano presenti anche Poletti e Madia». Poi ripete: «Il 23 dicembre il testo del documento conteneva il terzo comma dell’articolo 1 che escludeva l’applicazione per il pubblico impiego. Il 24 il Consiglio dei ministri ha approvato un testo del decreto nel quale quel comma non c’era più». Inoltre il 27 dicembre gli stessi ministri «dichiarano che i nuovi rapporti nel settore pubblico devono essere esclusi dal Jobs act — precisa Ichino —. Evidentemente Poletti e Madia hanno cambiato idea, ma dovranno convincerne il resto del governo e della maggioranza». Immediata l’alleanza con Maurizio Sacconi: «In Parlamento Ncd presentò e poi ritirò un emendamento per la omologazione del lavoro, pubblico e privato, perché il governo si impegnò ad attuare la norma sull’unificazione. Ora ci spieghi perché ha fatto marcia indietro».

Francesco Di Frischia – Il Corriere della Sera – 29 dicembre 2014 

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