Il ministero del Lavoro, senza alcuna esitazione, apre a tutto tondo all’applicazione della riduzione contributiva alle retribuzioni dei dirigenti. Lo fa con l’interpello 2/2015, rispondendo a un quesito inoltrato da Federmanager.
A ben vedere, leggendo tra le righe del documento ministeriale, sembrerebbe che l’associazione dei dirigenti abbia rivolto ai tecnici del ministero una pluralità di quesiti. II dicastero, tuttavia, ha fornito delucidazioni solo in merito allo sgravio contributivo. Le altre questioni, viene affermato nella risposta, non essendo ammissibili alla procedura di interpello sono state espunte. Inizio d’anno, dunque, all’insegna del riposizionamento (semmai ve ne fosse necessità) dello strumento dell’interpello nell’alveo definito dal legislatore del 2004.
Allora, come oggi, il bisogno di chiarezza su nodi non sciolti della normativa in materia di lavoro, previdenza, sicurezza era molto avvertita. L’interpello ha rappresentato, in questi anni di vita, una risposta all’esigenza di avvicinare l’utenza alla struttura burocratica, non una panacea a tutti i mali ma un supporto, laddove la carenza interpretativa crea un vulnus.
Tornando alla domanda di Federmanager, la disamina degli esperti del lavoro prende le mosse dall’analisi dell’articolo 2, del decreto ministeriale 14 febbraio 2014 quale norma riportata nel quesito. Il Dm, a cui si fa riferimento, disciplina la concessione dello sgravio con riferimento alle somme corrisposte nell’anno 2013. A fronte di tali erogazioni, sempre che previste dai contratti collettivi aziendali e territoriali, ovvero di secondo livello, è riconosciuto uno sgravio in misura non superiore al 2,25% della retribuzione imponibile percepita dal lavoratore. Il tutto condito e corroborato dalle previsioni dell’articolo 1, comma 67 lettera b) e c), della legge numero 247/2007.
Vale a dire che la facilitazione può essere concessa solo se le somme erogate sono correlate a incrementi di produttività, qualità, redditività, innovazione ed efficienza organizzativa, e anche ai risultati riferiti all’andamento economico o agli utili della impresa o a ogni altro elemento rilevante ai fini del miglioramento della competitività dell’azienda. Nella normativa di riferimento, ribadisce il ministero, non vi è traccia di alcun limite reddituale che determini l’esclusione del lavoratore dalla misura incentivante.
Vista l’assenza di disposizioni che lascino fuori i dirigenti, nella risposta il ministero conferma, di concerto con l’Inps che peraltro non ha mai posto in discussione il riconoscimento dell’agevolazione, che anche questa categoria di lavoratori e con essa il datore di lavoro, hanno diritto allo sgravio.
Nel rispetto delle altre condizioni volute dalla legislazione di riferimento, l’azienda potrà contare sulla riduzione dell’aliquota contributiva nella misura massima di 25 punti, al netto dello 0,3% del contributo integrativo Aspi (in passato DS), delle riduzioni contributive per assunzioni agevolate e delle eventuali misure compensative spettanti. Il lavoratore, invece, oltre all’abbattimento totale della contribuzione sul premio ricevuto, potrà contare, altresì, sul suo riconoscimento ai fini pensionistici.
Con l’interpello 1/2015 viene affrontata una diversa tematica. In questa occasione la sollecitazione proviene dal Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro e dell’Ancl (associazione sindacale dei consulenti del lavoro). I due organismi si sono rivolti al ministero per sollecitare una risposta che, in effetti era stata già in parte fornita in un’altra recente pronuncia (numero 27/2013). Oggetto della riflessione sono le ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo da parte di un’impresa di somministrazione, di lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato, occupati in ambito di gara pubblica per servizi di somministrazione di lavoro per 36 mesi.
Il dubbio, di chi ha inoltrato la domanda, è sorto nell’identificare quale norma deve essere applicata al licenziamento di almeno 5 lavoratori nella stessa provincia: la legge 223/1991 o la legge 604/1966. Sul punto i tecnici ministeriali ricordano che, fermi restando i margini di operatività delle due disposizioni (nuovo tentativo di conciliazione ex articolo 7 legge 604/1966 e procedura di licenziamenti collettivi ex lege 223/1991 ) entrambi dettati dal requisito dimensionale dell’azienda, si deve tenere a mente che il Dlgs 276/2003 (articolo 22, comma 4) esclude la procedura di licenziamento collettivo per le aziende di somministrazione nei casi in cui il recesso riguardi i lavoratori assunti a tempo indeterminato, anche se la fine dei lavori corrisponde alla cessazione dei servizi di somministrazione a tempo determinato in ambito di gara pubblica.
La risposta a interpello, confermando il precedente indirizzo, ribadisce che nei casi descritti nel quesito, è la legge 604/1966 a prevalere (tentativo di conciliazione introdotto dalla riforma Fornero) e non la legge 223/1991.
Il Sole 24 Ore – 13 gennaio 2014