Repubblica. Sabato pomeriggio, quando ha autorizzato il trasferimento in un reparto ordinario del suo ultimo paziente Covid, Edoardo De Robertis, direttore della Terapia intensiva dell’ospedale di Perugia, ha provato «un grande senso di liberazione. Nessun brindisi, nessuna festa per quella che tuttavia sembra davvero la fine di un incubo, a Perugia come in tutta Italia dove ieri il numero dei malati di Covid ricoverati in terapia intensiva è sceso sotto quota 200, a 191, il 2% dei posti disponibili ( solo ad aprile erano 3743 i ricoverati). Un trend in costante calo che ha portato già quattro Regioni ( Umbria, Basilicata, Molise, Valle d’Aosta) e la provincia di Bolzano a non avere più alcun letto occupato da pazienti Covid in rianimazione.
Si svuotano le terapie intensive e anche i reparti ordinari, una discesa lungamente attesa che fa tirare un sospiro di sollievo anche se al ministero della Salute non nascondono la preoccupazione per la risalita dei contagi ( seppure ancora poco significativa) anche in Italia: 480 casi ieri a fronte dei 389 di lunedì della scorsa settimana, con una percentuale sui tamponi effettuati che nel giro di tre giorni è passata dallo 0,4 allo 0,64 per cento. E il timore è che anche qui (come avvenuto in Inghilterra, in Spagna, in Francia) la curva dei positivi possa improvvisamente impennarsi. Soprattutto tra i più giovani, ancora non vaccinati o con una sola dose. «Ma anche tra i cinquantenni, molti dei quali non sono ancora vaccinati e purtroppo negli ultimi mesi sono stati troppo spesso nei nostri reparti: persone anche senza patologie che rischiano ancora molto», mette in guardia De Robertis.
La variante Delta, che minaccia i più giovani, non fa però particolarmente paura a chi ha vissuto l’inferno delle terapie intensive. «La cosa più terribile è stata dover comunicare a distanza con le famiglie, utilizzare la sola voce per dire che i loro cari non ce l’avevano fatta. E questo per un reparto come il nostro, dove l’empatia e il calore umano sono fondamentali, è stato un gran peso — dice Massimo Antonelli, direttore della Terapia intensiva al Gemelli di Roma — Stiamo cominciando adesso a tirare il fiato. Da marzo 2020 abbiamo ricoverato 1.100 pazienti, abbiamo gestito fino a sei persone contemporaneamente in circolazione extracorporea, adesso che abbiamo solo otto malati Covid è arrivato il momento di tirare le somme. E il mio pensiero va ai nostri specializzandi di quarto e quinto anno, agli infermieri neolaureati che abbiamo contrattualizzato. Senza di loro non ce l’avremmo fatta».
Tute, mascherine, visiere, turni infiniti, sofferenza, paura, stanchezza. È finita qui? «Non lo possiamo dire ma c’è una ragionevole speranza che non si torni più a quella pressione ospedaliera che, in mancanza di una sanità di prossimità, è stata l’unico argine alla pandemia — dice Alessandro Vergallo, presidente dell’Associazione anestesisti e rianimatori ospedalieri — La diffusione della variante Delta ci farà assistere a una ripresa dei contagi. Il pericolo di certo non è cessato, ma la campagna vaccinale ha finalmente messo in sicurezza la fascia più a rischio della popolazione. Adesso però dovremmo puntare sui più giovani, che si muovono di più. E dobbiamo ricordarci che proprio nelle fasi di stasi e remissione dei contagi bisogna osservare le regole per evitare nuove situazioni critiche, e dedicarci a tutte le altre prestazioni sanitarie che abbiamo dovuto lasciare giocoforza indietro».