E’ inesistente un obbligo dello Stato italiano di prevedere per legge il diritto alla retribuzione degli specializzandi di area sanitaria non medica. È questa la conclusione a cui giunge una sentenza pronunciata lo scorso 2 aprile dal Tribunale di Roma, giudice Carmen Bifano.
I chiarimenti del Tribunale. Gli attori del processo hanno chiesto la condanna della Repubblica italiana al risarcimento del danno a loro procurato dalla non attuazione, in favore degli studenti non medici iscritti a scuole di specializzazione di ambito sanitario, di quattro direttive Cee; danno consistito, nella prospettazione degli attori stessi, nella mancata erogazione di un’adeguata remunerazione per l’attività svolta nei rispettivi corsi. Nel rigettare la domanda, il Tribunale afferma che l’esame delle direttive in materia di specializzazioni mediche – quelle di cui gli attori domandano l’applicazione anche agli specializzandi non medici – «mostra come non solo la lettera ma anche la ratio delle stesse certamente osti» all’estensione richiesta, dal momento che le direttive in questione fanno riferimento unicamente alle figure del «medico» e del «medico specialista». Inoltre, la loro finalità «è solo quella di assicurare la piena circolazione» in Europa «dei medici in generale e dei medici specialisti in particolare». Ciò esclude – afferma la sentenza – che possa ravvisarsi un inadempimento dello Stato italiano nella mancata previsione, anche in favore degli specializzandi di area sanitaria non laureati in medicina, del diritto alla remunerazione disposta per gli specializzandi medici.
Atenei esclusi dall’obbligo di indennizzo. Peraltro, poiché l’ordinamento nazionale ha stabilito una retribuzione in favore dei medici in «conseguenza di un vincolo di fonte europea», è quindi inesistente – aggiunge il Tribunale – «una disparità di trattamento non giustificata» tra le due categorie di specializzandi. Né le Università convenute sono tenute a un indennizzo in base all’articolo 2041 del Codice civile (intitolato «Azione generale di arricchimento»). Questo perché l’istituzionale funzione «formativa dei corsi di specializzazione frequentati anche dai laureati non medici di per sé giustifica l’eventuale arricchimento che gli Atenei possano conseguire per effetto della natura pratica delle attività svolte da costoro». Diversamente ragionando – conclude il giudice – «qualsiasi corso educativo che consti anche di una formazione pratica implicherebbe un diritto al compenso per chi lo frequenta».
Il Sole 24 Ore – 13 maggio 2015