Giuseppe del Bello. «Faccio una notte a settimana. Ma quando manca qualche collega, mi capita anche di farne due». Carlo, 47 anni, da 24 fa l’infermiere nel pronto soccorso del Cardarelli (il più grande e affollato ospedale del sud). Soffre di esofagite da reflusso con ernia jatale, crisi d’ansia e una lieve aritmia. «E mi è andata pure bene », ironizza, «l’anno scorso un collega si è fatto il “viaggio”. Morto così, a 52 anni per infarto, dopo una vita tra barelle, cateteri e trasferte in ambulanza».
Quando “smonta” dalla notte, Carlo si tappa in casa e cerca di recuperare: «Però, mettersi a letto alle 10 del mattino e appisolarsi per tre ore non equivale a un bel sonno notturno. E quello perduto, niente e nessuno te lo restituirà».
È duro lavorare di notte. Effetti negativi di una vita al “contrario”, rovescio della medaglia di una società sempre connessa, abituata ad avere tutto in ogni istante. Ventiquattr’ore su 24. Ma le conseguenze si pagano, eccome. Praticamente tutti gli organi diventano bersaglio dello stravolgimento circadiano. L’ultimo allarme arriva da una ricerca pubblicata su Pnas ( Proceedings of National Academy of Sciences ) e ripresa dalla Bbc britannica, in cui un’équipe del centro del Sonno del Surrey mette in guardia per il “caos” devastante e per i danni a lungo termine sull’organismo. Dagli squilibri ormonali alla temperatura, all’umore, al diabete di tipo 2, all’infarto, e fino al tumore. Un lavoro organizzato a turni esporrebbe a sconquassi profondi, anche a livello molecolare. Di notte poi, gli effetti negativi si svilupperebbero in forma più grave e con maggior rapidità. Lo studio ha seguito 22 persone, monitorando ciò che avveniva nel loro corpo successivamente al passaggio dal mone. lavorativo giornaliero a quello notturno. Simon Archer dell’università del Surrey spiega che, in condizioni normali, il 6 per cento dei geni (custodiscono le informazioni nel Dna) è tarato per essere più o meno attivo in momenti specifici della giornata: «Quando i volontari hanno lavorato per tutta la notte, la regolarità della funzione genetica è andata persa ». Insomma, se salta il sincronismo tra sonno e ritmo dei geni, il nostro organismo ne risente. Aggiunge Derk Jan Dijk, ricercatore: «Il crono-caos è come vivere in una casa in cui c’è un orologio in ogni ambiente che riporta orari diversi».
Uno studio pubblicato sul British Medical Journal nel 2012 ha analizzato il lavoro notturno come possibile conseguenza di un incremento significativo di alcuni tumori, in particolare del polmola Per quest’ultimo, il dato arriva da un articolo dell’ American Journal of preventive Medicine , secondo cui la causa della maggiore incidenza e dell’aumento della mortalità dell’11 per cento risiederebbe nell’alterazione dei regolari ritmi del sonno per un periodo minimo di cinque anni. «Un’altra ricerca, incrociando i dati di una casistica globale su circa due milioni di pazienti», riferisce Franco Rengo, professore emerito alla Federico II di Napoli e direttore della Fondazione Maugeri a Telese (Benevento), «ha dimostrato che chi lavora di notte va incontro a un rischio maggiore di infarto del 23 per cento, di ictus del 5 e di eventi coronarici del 24. E il maggiore stress è legato anche alla tipologia di lavoro: non è la stessa cosa fare il guardiano di uno stabilimento o l’operaio nella catena di mondello taggio».
Singolare ma ben interpretabile, il riscontro di una prevalenza aumentata di tumore della mammella nelle donne che abbiano svolto un lavoro notturno per un periodo lungo, dai 20 ai 30 anni. «È una patologia che in molti casi è dipendente dagli estrogeni», spiega Rengo, «che vengono contrastati dalla melatonina prodotta nelle ore notturne. Ma se quest’ultima viene meno perché non si dorme, la conseguenza è l’incremento di estradiolo».
E se la “sindrome del lavoratore turnista” è dato scientifico acquisito, oggi la Medicina del Lavoro è sempre più attenta alle conseguenze del turno notturno, dalle 22 alle 7: «Gli effetti a lungo termine sono tanto devastanti», sottolinea lo specialista e ricercatore della Fondazio- ne Maugeri di Pavia Giuseppe Taino «che il 20 per cento dei turnisti dà forfait». Proprio per questo, la Società di Medicina del Sonno ha redatto le linee guida, un decalogo utile a minimizzare le conseguenze del lavoro notturno. Per esempio, per prevenire le turbe dei ritmi biologici, è indicata la “rotazione anterograda” (mattina, pomeriggio, notte e riposo). E comunque, mai più di tre notti consecutive. Come pure bisogna programmare almeno 12 ore di intervallo tra un turno e l’altro, mentre quello del mattino non deve iniziare prima delle 7. L’attività lavorativa deve svolgersi tra le 8 e le 12 ore, a seconda del tipo di impegno che richiede. E infine, la giornata in cui si smonta dovrebbe essere dedicata al recupero, e non ad altre attività».
Repubblica – 10 febbraio 2015