Per la Corte dei conti Piemonte (sentenza n. 33/2018) il mancato riversamento dei compensi percepiti dal dipendente pubblico, per attività extraistituzionale svolte senza autorizzazione, implica la competenza della Corte dei conti al recupero delle somme indebitamente percepite, e ciò anche prima delle norme sul decreto anticorruzione (Dlgs 190/2012). La posizione dei giudici contabili, tuttavia, non converge con quella della Cassazione che, con diverse sentenze, anche a Sezioni Unite ha precisato che la competenza sia del giudice ordinario, l’unico deputato a conoscere del rapporto di lavoro con il dipendente.
Il caso
Il dipendente di un ente locale, avendo svolto attività retribuite extraistituzionali (organizzazione di soggiorni e viaggi), era stato intercettato dall’Agenzia delle entrate che aveva aperto una procedura per recupero a tassazione degli importi non dichiarati, mediante accertamento con adesione. L’ente locale a sua volta, a causa della mancata autorizzazione di questi incarichi, era addivenuto a una transazione con il dipendente, eliminando eventuali provvedimenti disciplinari, concordando con lo stesso la risoluzione anticipata del rapporto di lavoro, con versamento da parte dell’ente di una somma pattuita tra le parti. Raggiunto l’accordo, l’ente non ha versato la somma pattuita, in considerazione del credito riferito ai compensi percepiti in assenza di autorizzazione. Il giudice del lavoro, adito dal dipendente, ha invece obbligato l’ente al versamento della somma pattuita, mentre il credito vantato dall’ente per gli incarichi esterni non autorizzati declinava la competenza al giudice contabile. Visto il mancato versamento dei compensi illegittimamente percepiti dal dipendente, la Corte dei conti piemontese ha dapprima posto sotto sequestro le somme a credito e successivamente condannato il dipendente al danno erariale pari alle somme illegittimamente ricevute da terzi. La Corte non ha considerato sufficiente la difesa del dipendente che ha reclamato la non operatività, all’epoca dei fatti, della norma inserita dalla legge anticorruzione (articolo 7-bis del Dlgs 190/2017 che impone il riversamento all’Amministrazione dell’intero importo incassato dall’indebito percettore).
Le indicazioni delle Sezioni unite
La posizione dei giudici contabili, tuttavia, appaiono in contrasto con le indicazioni delle Sezioni unite della Cassazione, sia prima che dopo l’introduzione della normativa anticorruzione.
Prima della legge 190/2012, infatti, la Cassazione (sentenza n. 19072/2016) hanegato che prima della introduzione dell’articolo 7-bis potesse dirsi indiscutibile la giurisdizione contabile tutte le volte in cui non emergesse o non fosse stato formalmente dedotto un profilo di danno (che non fosse quello all’immagine o comunque che si concretizzasse in pregiudizi ulteriori rispetto al mancato introito dei compensi corrisposti da terzi ai propri dipendenti).
La competenza del giudice ordinario è stata ancora ribadita con l’ordinanza n. 1415/2018, nonostante l’inserimento dell’articolo7-bis della legge anticorruzione. Il giudice di legittimità ha, infatti, precisato che l’articolo 53, comma 7, del testo unico del pubblico impiego, prevede che «In caso di inosservanza del divieto, salve le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare, il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere versato…». In tal caso la norma parla delle “più gravi” sanzioni e amplia di fatto la natura sanzionatoria del versamento percepito dal dipendente da terzi in presenza di una mancata preventiva autorizzazione. La prestazione resa dal pubblico dipendente a favore di terzi, quindi, non necessariamente implica un danno per l’amministrazione (ben potendo il dipendente aver correttamente adempiuto tutti gli altri obblighi lavorativi malgrado lo svolgimento di altra attività non autorizzata), inoltre la previsione d’una fattispecie determinativa di danno risulterebbe dissonante con la quantificazione del risarcimento in misura invariabilmente coincidente (nulla di più, nulla di meno) con gli emolumenti indebitamente percepiti dal pubblico dipendente.
Il rimpallo di competenza del giudice contabile che la trattiene e del giudice ordinario che la rinvia, pone un problema di certezza del diritto, obbligando le parti (Pa e dipendenti) a percorrere diversi gradi di giudizio al fine di vedere risolta la questione del plesso munito di giurisdizione.
Il Sole 24 Ore – 24 aprile 2018