Welfare e personale Le prestazioni sociali assorbono circa il 45% della spesa totale al netto degli interessi, i costi del personale il 22,9%. La “nouvelle vague” della spending review ha la forma di un taglio del 3% di tutte le spese su cui ha voce in capitolo ogni ministero.
È questa la strada tracciata da Matteo Renzi per portare al traguardo la prossima legge di stabilità. Il premier lo ha detto a chiare lettere nell’intervista rilasciata al nostro giornale ieri in edicola. Un nuovo sistema che, partendo dai quasi 800 miliardi di spesa complessiva sostenuta dallo Stato a fine 2013, garantirebbe, almeno sulla carta, una dote di 24 miliardi. Chesi ridurrebbe a 21,5 miliardi restringendo il bacino ai quasi 717 miliardi di uscite al netto della spesa per interessi registrati sempre nel 2013. Una cifra molto vicina ai 20 miliardi di tagli alla spesa ai quali ha fatto riferimento il premier. Ma per centrare questo obiettivo il metodo di una riduzione del 3% della spesa totale agendo sui singoli capitoli dei vari ministeri implicherebbe un intervento anche su pensioni, sanità e pubblico impiego, oltre che su altre voci “sensibili” per il funzionamento della macchina statale come ad esempio la sicurezza.
Anzitutto è da considerare praticamente impossibile ricavare 20 miliardi con una stretta del 3% sulle sole “spese dirette” dei ministeri che lo scorso anno hanno toccato i 376 miliardi, “interessi” esclusi. Tornando alla torta delle uscite correnti al netto degli interessi, se venissero esclusi dai tagli i 319,5 miliardi destinati nel 2013 alle prestazioni sociali (previdenza, ammortizzatori e via dicendo), che pesano per circa il 45% sull’intero flusso della spesa corrente al netto degli interessi, con l’applicazione della regola del 3% indicata dal premier verrebbero ricavati non più di 12 miliardi. D’altra parte è stato lo stesso Renzi nelle scorse settimane a escludere nuovi interventi diretti sul welfare e in particolare sulle pensioni. Che nel 2013 hanno pesato per oltre 254,5 miliardi (il 16,3% del Pil stando all’ultimo Def) sui conti dello Stato e che assorbono il 35,5% della spesa totale, mentre alle altre prestazioni sociali in denaro, ammortizzatori in primis, lo scorso anno sono stati destinati circa 65 miliardi.
Nel caso in cui rimanessero fuori dal menù dei tagli anche i 164 miliardi assorbiti dai costi del personale statale, pari al 22,9% delle uscite totali al netto degli interessi, resterebbe aggredibile una fetta di spesa di 233,5 miliardi. Le prestazioni sociali e le retribuzioni del pubblico impiego coprono da sole più di due terzi (il 67,5%) della spesa corrente complessiva. A quel punto con la “regola del 3%” verrebbero ricavati circa 7 miliardi. Che salirebbero a non più di 12 miliardi facendo rientrare nella partita anche le retribuzioni dei dipendenti pubblici. E questa è più di una semplice eventualità visto l’annuncio del Governo di voler congelare per almeno un altro anno gli stipendi degli statali con un intervento che nel 2015 dovrebbe garantire circa 2,5 miliardi.
I dipendenti pubblici, quindi, sembrano destinati a non potersi sottrarre alla nuova spending. E anche per la sanità evitare la revisione della spesa anche con il metodo-Renzi del 3% di stretta sui ministeri appare un’impresa quasi impossibile. Nel 2013, stan do ai dati della Contabilità nazionale riportati nell’ultimo Def, i costi per la sanità hanno sfiorato i 110 miliardi (con un’incidenza di quasi il 14% sulle uscite totali), che risultano ripartiti tra varie voci del “quadro” della spesa complessiva (personale, consumi intermedi e trasferimenti). Un capitolo sanità è del resto previsto nel programma stilato dal commissario Carlo Cottarelli che sancisce l’abbandono del meccanismo dei tagli lineari, considerato non più utilizzabile anche dal ministro Pier Carlo Padoan nel suo intervento di inizio agosto alla Camera.
Sanità e costi del personale rientrano anche nella porzione di 295 miliardi di spesa considerata effettivamente aggredibile dall’ex ministro Piero Giarda sul suo rapporto del 2012. Che, sulla base dei dati contabili aggiornati al 2010-2011, escludeva in partenza dalla spending, oltre alla spesa per interessi, le pensioni e le prestazioni sociali in genere, i contributi sociali, gli investimenti pubblici e gli ammortamenti, le uscite collegate a consumi privati e gli oneri legati al capitolo Ue e attività internazionali. In tutto 500 miliardi immuni da tagli.
Il Sole 24 Ore – 4 settembre 2014