UNA spallata dopo l’altra al servizio sanitario pubblico, fino a farlo vacillare. Le manovre e i tagli si abbattono sulla sanità ormai con cadenza annuale: una botta da quasi 2 miliardi nel 2011, poi da 4 quest’anno e alla fine, nel 2014, addirittura da 11 e mezzo. La stagione delle riduzioni è iniziata con il governo Berlusconi ed è proseguita con quello Monti.
Se ieri il presidente del consiglio ha espresso dubbi sulla sostenibilità del sistema, una recente ricerca del gruppo Ambrosetti parla chiaramente di un futuro default provocato dall’impennarsi della spesa sanitaria. E chissà se riusciranno a tenere in piedi il sistema le «nuove forme di finanziamento » auspicate sempre da Monti. Il punto di partenza dovrebbero essere la franchigia voluta dal ministro alla salute Renato Balduzzi, per far pagare ai cittadini le spese sanitarie in base al loro reddito.
SEI MANOVRE IN 5 ANNI
Da tempo ormai le Regioni vedono il fondo nazionale crescere meno della spesa, che ogni anno cresce di circa il 3%. Così si crea uno sbilancio, che deve essere coperto dalle regioni in deficit con interventi straordinari. Secondo lo studio Meridiano sanità di “The european house Ambrosetti”, presentato un paio di settimane fa, la sanità pubblica tra il 2010 e il 2014 ha subito tagli per 26 miliardi, che salirebbero a 30 se si considera anche il 2015. Sono sei le manovre che hanno colpito la sanità negli ultimi cinque anni. Quattro portano la firma dell’esecutivo Berlusconi-Tremonti. Tra queste quella che alla fine dell’estate del 2011 ha introdotto un nuovo ticket sull’attività diagnostica e specialistica. Non è stato risparmiato nessun anno: – 0,6 miliardi nel 2010, – 1,7 nel 2011, – 2,9 nel 2012, – 6 nel 2013, – 8,5 nel 2013. Le altre due manovre sono del governo Monti, una è la cosiddetta “spending review”, l’altra la recente legge di stabilità. Insieme hanno tagliato 0,9 miliardi nel 2012, 2,4 nel 2013, 3 nel 2014. Riduzioni che si aggiungono a quelle disposte dal governo precedente.
LE REGIONI, I TICKET
Il primo effetto delle manovre è quello di obbligare le Regioni a rivedere i servizi sanitari. Negli ultimi anni a Roma si è proceduto sempre nello stesso modo, cioè tagliando il fondo sanitario nazionale e indicando alle amministrazioni locali su cosa intervenire
per recuperare i soldi: riduzione dei posti letto e dei piccoli ospedali, taglio dei prezzi corrisposti ai fornitori e ai privati convenzionati, ticket su determinate prestazioni. Stabilire dove devono agire le Regioni finisce per penalizzare quelle che funzionano meglio e magari hanno già fatto alcuni interventi.
Chi ad esempio ha già tagliato i posti letto non riuscirà a recuperare soldi da quella operazione. Il tutto in un sistema che parte, secondo alcune Regioni, già come sotto finanziato rispetto a quello di altri paesi. La spesa sanitaria pro capite in Italia (2.282 euro nel 2010) è più bassa rispetto a quella di Francia
(3.058) o la Germania (3.337).
IL RISCHIO DEFAULT
Monti ha parlato di un sistema che avrà difficoltà a resistere. I ricercatori di Ambrosetti, nella pubblicazione “Meridiano sanità”, si sono spinti oltre. Hanno infatti ipotizzato che entro il 2050, cioè in meno di 40 anni,
la spesa sanitaria italiana sarà più che raddoppiata, e salirà a 260 miliardi di euro. Le cause principali sono legate all’aumento della popolazione anziana e quindi alla maggiore diffusione di malattie croniche. Passerà così dall’essere circa il 7% del Pil al 10%. Senza correre troppo verso il futuro, già oggi il sistema ha difficoltà a restare in equilibrio. La Ragioneria dello Stato ha fatto una previsione che tiene conto del rapporto tra la spesa sanitaria pubblica e il fondo sanitario, ridotto a causa delle manovre e attestato intorno ai 107 miliardi di euro. Si ipotizza che il deficit per quest’anno superi i 12 miliardi, quello del prossimo anno i 15 e quello del 2014 addirittura i 18. Si tratta di stime inquietanti, moto distanti dai deficit di 6-7miliardi registrati fino al 2011.
QUANTO PAGHEREMO
Le parole di ieri del presidente del consiglio molto probabilmente sono anche da mettere in relazione con il progetto del ministro alla salute Renato Balduzzi di una nuova forma di compartecipazione dei cittadini. Si basa su una franchigia, che sarebbe del 3 per mille. Per chi guadagna, ad esempio, 20mila euro sarebbe di 60 euro, o di 300 per chi ne guadagna 100mila all’anno. Il cittadino pagherebbe le prestazioni sanitarie con tariffe simili a quelle dei ticket fino a raggiungere la franchigia. Se si rivolgerà di nuovo al sistema sanitario non avrà spese. Potrebbe non bastare. Al ministero temono che qualcuno, una volta raggiunto il proprio limite massimo di spesa, possa richiedere prestazioni, a quel punto gratuite, che non servono e quindi generare comunque una spesa inutile. Per questo si pensa ad un ticket per far contribuire chi fa visite o esami inappropriati, cioè che non gli servono. Il sistema della franchigia, però, è pensato evitare l’entrata in vigore nel 2014 di un nuovo ticket, 2 miliardi in tutto, voluto dal governo Berlusconi-Tremonti. Da solo quindi non basterebbe ad affrontare la crisi di finanziamento del sistema sanitario, che poggia su cifre ben superiori. Saranno necessari ancora grossi interventi di risparmio delle Regioni, da cui i servizi sanitari rischiano di riuscire ridimensionati. E magari sarà necessario aumentare le persone con un’assicurazione sanitaria, che al momento nel nostro paese sono 11 milioni.
Repubblica – 28 novembre 2012