Una vera e propria tagliola si è abbattuta negli ultimi quattro anni su 5,5 milioni di pensionati a cui sono stati sottratti 9,7 miliardi di euro, pari ad una perdita media pro-capite di 1.779 euro.
È l’effetto, calcolato e reso noto oggi dallo Spi-Cgil, del blocco della rivalutazione delle pensioni in vigore negli anni 2012-2013 e delle modifiche apportate allo stesso meccanismo negli anni seguenti.
Nel biennio 2012-2013, spiega lo Spi Cgil, l’adeguamento delle pensioni è stato bloccato per importi superiori a tre volte il trattamento minimo, ovvero circa 1.400 euro lordi. Nel biennio 2014-2015 invece l’adeguamento è stato sull’intero importo della pensione, con una percentuale del 100% solo per tutti quelli che hanno un assegno fino a tre volte il trattamento minimo mentre decresce per le altre categorie d’importo dallo 0,95% fino allo 0,40%.
Uno scenario che è destinato a peggiorare con un tasso di inflazione annuo al 2%, come da obiettivo della Bce. Secondo gli attuali meccanismi di calcolo della rivalutazione, infatti, ai pensionati sarebbero sottratti ulteriori 3,6 miliardi di euro.
La proposta Spi-Cgil
«Occorre correggere i meccanismi attuali di rivalutazione per non penalizzare ulteriormente i pensionati italiani. Bisogna applicare a tutti il 100% di rivalutazione fino a 5 volte il trattamento minimo, pari a 2.500 euro lordi al mese, per poi scendere al 50% per gli importi eccedenti tale cifra», propone lo Spi-Cgil in occasione di una giornata di studio sulle tematiche della previdenza che si tiene oggi a Roma presso la sede nazionale della Cgil in Corso d’Italia. «Si tratta – continua lo Spi-Cgil – di una correzione non particolarmente onerosa e quindi realizzabile con un costo di circa 350 milioni di euro per ogni punto di inflazione».
Il Sindacato dei pensionati della Cgil propone inoltre di intervenire sui coefficienti di trasformazione, la cui definizione oggi è resa particolarmente incerta dalla riforma Fornero con conseguenze molto pesanti su tutti quelli che dovranno andare in pensione.
«Sarebbe utile – afferma in tal senso lo Spi-Cgil – lavorare su un coefficiente che si basi sulla data di nascita e sull’età di maturazione del diritto alla pensione, sulla falsa riga del sistema «svedese». In questo modo il futuro pensionato avrà almeno la certezza del coefficiente minimo che determinerà l’importo della sua pensione».