A Palazzo Chigi non saranno d’accordo. Ma quella norma sui cosiddetti «affitti d’oro» che hanno messo nel decreto cosiddetto Milleproroghe assomiglia alla classica toppa peggiore del buco. Ricapitoliamo come tutto era cominciato.
Lo scorso 13 dicembre il Senato aveva approvato una legge (la cosiddetta manovrina) che conteneva una norma introdotta in prima lettura alla Camera con un emendamento del grillino Riccardo Fraccaro. Tutte le pubbliche amministrazioni, organi costituzionali compresi, avrebbero potuto esercitare il recesso dai contratti di locazione stipulati con privati entro il 31 dicembre del 2014 con un preavviso di trenta giorni. Non era difficile individuare quale fosse il bersaglio grosso. Ovvero, i palazzi Marini dell’immobiliarista Sergio Scarpellini, da cui alla fine degli anni Novanta l’amministrazione di Montecitorio aveva affittato senza gara gli uffici dei deputati, affidando allo stesso soggetto, sempre senza una procedura a evidenza pubblica, anche la gestione dei servizi. Un affare clamoroso, capace di garantire al privato introiti ampiamente superiori al costo dei mutui bancari sostenuti dal medesimo per l’acquisto degli immobili poi ceduti in locazione alla Camera, che alla fine del 18 anni contrattuali avrebbe speso di soli affitti 444 milioni di euro senza ritrovarsi proprietaria di un solo mattone.
Ma l’emendamento Fraccaro, passato in un primo momento sotto silenzio, non poteva lasciare il Palazzo indifferente né ai destini di Scarpellini (contributore dei partiti di destra e di sinistra) né a quelli degli altri privati che affittano lucrosamente immobili allo Stato, avendo comunque la garanzia del pagamento fino a scadenza di contratto. Ecco allora, soltanto sei giorni più tardi, spuntare un emendamento abrogativo presentato dalla senatrice del Pd Magda Zanoni. Subito sconfessato quando le polemiche erano scoppiate dal nuovo segretario del suo partito Matteo Renzi, che 48 ore dopo ha imposto di ripristinare la norma grillina nel decreto cosiddetto salva Roma. La faccenda sembrava dunque risolta: salvo poi scoprire che nella legge di Stabilità era stata introdotta una norma che esentava dal diritto di recesso statale gli stabili affittati alle amministrazioni pubbliche dai fondi immobiliari ma anche dai soggetti che in quei fondi avessero investito. Per il M5S, un chiaro assist a Scarpellini. Nelle ultime concitate ore del 2013, non poteva mancare nemmeno un colpo di scena: il Quirinale decide di non promulgare il salva Roma, diventato nel frattempo una indistinta marmellata delle norme più diverse e astruse.
Il gioco dell’oca riparte quindi dal «via!», con la promessa governativa di rimettere le cose a posto nel primo decreto utile. Nella fattispecie, il classico Milleproroghe di inizio anno. Dove però l’articolo 2, quello che avrebbe dovuto rimettere le cose a posto, contiene alcune sorpresine. La deroga alla clausola di recesso statale per gli immobili di proprietà dei fondi immobiliari e dei loro azionisti sparisce: ma per loro continua a non essere necessario il nulla osta del Demanio nel caso di rinnovo dei contratti, possibile per gli altri privati solo a patto che non esistano immobili demaniali alternativi disponibili. E poi un paio di altre cosucce. La prima, che lo Stato può esercitare il diritto di recesso non più entro il 31 dicembre 2014, ma soltanto entro il 30 giugno di quest’anno: sei mesi di tempo invece di dodici, dunque. La seconda, che è necessario un preavviso di sei mesi anziché di trenta giorni. Commento grillino: «I due termini coincidono, facendo così saltare i tempi tecnici del recesso». Vero? Falso? Di sicuro la norma è decisamente più favorevole ai privati di quella originaria.
Avrà forse fatto breccia nel cuore del legislatore il grido di dolore di Scarpellini convinto che, parole sue, «dovrebbero darmi una medaglia» in quanto «benefattore dello Stato», per aver affittato i suoi palazzi “al 50% del prezzo di mercato (oltre 500 euro annui al metro quadrato, ndr )”? Difficile dire. Ma se davvero volessero risolvere alla radice il problema, anziché questo improbabile slalom fra decreti, scadenze e deroghe, ci permettiamo di suggerire due righe: “I contratti d’affitto di immobili stipulati con la pubblica amministrazione privi di clausola di recesso sono nulli».
Sergio Rizzo – Corriere della Sera – 2 gennaio 2014