Tra i destinatari dei provvedimenti di custodia cautelare, anche Emilio e Fabio Riva, al momento irreperibile. In manette l’ex responsabile delle relazioni esterne del gruppo Archinà e l’ex assessore all’Ambiente Conserva. Indagato Bruno Ferrante e il nuovo direttore dello stabilimento. Bloccata di fatto l’attività nella fabbrica da dodicimila posti di lavoro
Sette arresti, due avvisi di garanzia ed una pioggia di sequestri. Sono gli ingredienti della nuova burrasca giudiziaria che ha investito l’ilva di Taranto. Tra i destinatari dei provvedimenti restrittivi anche Emilio Riva e suo figlio Fabio (al momento irreperibile), che è ricercato dai finanzieri, mentre al presidente Bruno Ferrante, e al nuovo direttore dello stabilimento di Taranto, è stato notificata una informazione di garanzia. In arresto anche l’ex assessore all’Ambiente della Provincia di Taranto, Michele Conserva (che si era dimesso lo scorso settembre) tra le persone destinatarie di provvedimenti cautelari nell’ambito delle inchieste sull’Ilva di Taranto. Conserva è agli arresti domiciliari e si è dimesso circa due mesi fa dall’incarico. Le accuse sono a vario titolo di associazione per delinquere, disastro ambientale e concussione.
Contestualmente agli arresti, nel siderurgico è stato eseguito un sequestro preventivo dei prodotti finiti e semilavorati destinati alla vendita e al trasferimento negli altri stabilimenti del gruppo Riva. Di fatto un blocco dell’attività nella fabbrica da dodicimila posti di lavoro. Sigilli a tutto il prodotto finito sulle banchine del porto di Taranto utilizzate dall’Ilva, in questo modo la merce non potrà essere commercializzata. La misura sarebbe stata adottata perché Ilva avrebbe violato le prescrizioni del sequestro adottato dall’Autorità Giudiziaria, nel luglio scorso, sugli impianti dell’area a caldo. Sequestro che non prevede la facoltà d’uso a fini produttivi degli impianti del siderurgico.
Il nuovo terremoto scaturisce dall’inchiesta denominata “environment sold out”, ambiente svenduto, avviata dalla finanza nel 2009. Tra gli episodi fotografati c’è la presunta corruzione di un perito della procura incaricato di svolgere una consulenza sulle fonti dell’inquinamento killer. Per quella vicenda ai domiciliari il perito Lorenzo Liberti, mentre il carcere è scattato per Girolamo Archinà l’ex potentissimo responsabile delle relazioni istituzionlai del gruppo, licenziato nei mesi scorsi. Ma il picco dell’indagine riguarda anche il mancato rispetto del provvedimento di sequestro scattato lo scorso 26 luglio per gli impianti le l’area a caldo, ritenuti la fonte dell’inquinamento killer che fa ammalare e uccide i tarantini.
La vicenda è legata anche al presunto giro di mazzette che negli anni sarebbero servite ad ‘ammorbidire’ l’impatto inquinante dello stabilimento. Di lì è già saltata fuori la storia di Liberti, il perito della procura incaricato dai pm di individuare la fonte dell’inquinamento dei terreni in cui pascolavano capre e pecore risultate contaminate da diossina e pcb, che sarebbe stato corrotto da Archinà. L’Ilva ha sempre smentito che si trattava di una tangente a Liberti ma ha affermato che quei soldi Archinà avrebbe dovuto versarli come donazione alla Diocesi di Taranto. Gli arresti vengono eseguiti dalla Guardia di Finanza sulla base di due ordinanze di custodia cautelare firmate dai Gip Patrizia Todisco e Vilma Gilli.
Il filone d’indagine denominato ‘Ambiente svenduto’ consiste nella seconda fase dell’inchiesta della Guardia di Finanza sull’Ilva di Taranto punta su chi doveva controllare e invece non lo ha fatto. Al centro dell’ inchiesta c’era l’ipotesi di corruzione in atti giudiziari del perito della procura Liberti, allora preside della facoltà di Ingegneria di Taranto. Secondo quanto ricostruito e ipotizzato dagli investigatori, Liberti avrebbe ricevuto da Archinà una mazzetta di diecimila euro nel parcheggio dell’autogrill lungo l’autostrada tra Bari e Taranto. Quei soldi, secondo la Finanza, servivano ad “aggiustare” la perizia che il professore avrebbe di lì a poco depositato.
ll faccia a faccia avviene il 26 marzo del 2010 nella stazione di servizio Le Fonti est, nei pressi di Acquaviva lungo l’autostrada A14. Archinà consegna al perito una busta bianca. Secondo gli inquirenti, in quella busta ci sono diecimila euro in contanti che il dirigente dello stabilimento avrebbe pagato per ammorbidire il giudizio di Liberti sulle emissioni inquinanti dello stabilimento.
(26 novembre 2012) – Repubblica