Verona. Quaranta cani messi all’asta. Li compra il figlio del padrone. Dopo sedute andate deserte va a buon fine la cifra proposta per evitare di spostare gli esemplari
Restano nei loro box i quaranta maltesi dell’allevamento Amico cane di via Doltra messi all’asta in blocco: passano infatti in proprietà dal padre allevatore al figlio. E il risultato della vendita all’asta andata deserta mercoledì mattina con un prezzo base di 1.000 euro per ogni bestiola, e rimasta senza esito anche ieri mattina con prezzo sceso a 400 e base d’asta di 18.200 euro, quando erano presenti tre rappresentanti di due associazioni animaliste veronesi, Enpa e Animalisti Verona.
Sempre ieri mattina, con prezzo base sceso ulteriormente a 16mila euro, Mattia Munari, figlio di Walter, l’allevatore, facendo un’offerta di 20mila euro si è aggiudicato i maltesi per una somma che, compresi i diritti d’asta e l’Iva, è arrivata a 21.409,78 euro. «Amico cane è tra gli allevamenti più grossi d’Italia», dice, «abbiamo circa 300 cani, ne vendiamo dai 100 ai 150 l’anno e tutto è assolutamente in regola. I maltesi sono finiti all’asta dopo una batta glia legale durata otto anni. Noi ritenevamo di aver subito un danno legato all’utilizzo di un vaccino che tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009 ha provocato la morte di 170 cuccioli di tutte le razze che alleviamo, oltre ad una serie di aborti, in pratica il blocco dell’attività».
«Purtroppo», continua, «la nostra polizza assicurativa non prevedeva la copertura per le epidemie (si trattava di una paravirosi variante C e la ditta, che conoscevamo perché la utilizzavamo da dieci anni e quando studiavo veterinaria a Parma (si è fermato dopo quattro anni, ndr) avevo contatti con i ricercatori, non ha voluto risarcire, per cui ci siamo rivolti ad un legale. Ho anche segnalato il fatto al ministero della Salute attraverso il protocollo di farmaco-vigilanza che ha sospeso la vendita del prodotto per alcuni mesi, ma poi è stato rimesso in commercio». «Abbiamo perso la prima causa», continua ancora, «poi, essendo stato riconosciuto dal giudice che il danno era dimostrabile (abbiamo la documentazione dell’istituto zooprofilattico di Bari, unico in Italia a poter fare la tipizzazione del virus della paravirosi) abbiamo fatto ricorso, ma la richiesta di rimborso è stata rigettata per mancanza di prove. Abbiamo pagato tutte le spese legali fino all’ultima sentenza, che ci ha condannato a pagare anche le spese della controparte, una multinazionale, cosa che ci siamo rifiutati di fare. Così siamo arrivati all’asta».
Il suo esito ha lasciato delusi gli animalisti presenti, che avrebbero voluto altre soluzioni. Romano Giovannoni, presidente Enpa e direttore del canile della Bassona a Verona spiega: «Premetto che sono un animalista convinto e non sono in sintonia con gli allevatori, perché per me il cane non è una merce. Noi avevamo un progetto per recuperare i cani, sterilizzarli e darli in adozione gratuitamente, spostandoli così dal box di un allevamento ad un comodo divano. Ci saremmo accollati tutte le spese necessarie per renderli adottabili, ma chiaramente non avremmo potuto permetterci una spesa di 20mila euro oltre a quelle veterinarie del protocollo di adozione. Mi auguravo che l’asta andasse deserta e di poter fare una contrattazione più bassa». Emanuela Giarraputo, presidente di Animalisti Verona, concorda con la filosofia contraria all’allevamento e aggiunge: «Negli allevamenti ci sono fattrici che vi rimangono per anni costrette ad accoppiarsi e a vedersi portar via i cuccioli due volte l’anno. Sono femmine costrette a vivere nei box per produrre cuccioli, una vita di canile senza mai una passeggiata e senza socializzazione. Vorremmo che la gente prendesse coscienza della vita che fanno gli animali, maschi e femmine, destinati alla riproduzione. Speravo in una vendita singola, avevo pronta una cifra per riscattare alcune femmine più anziane che avremmo poi dato in adozione gratuita».
L’Arena – 18 marzo 2016