di Mirko Schipilliti. Il tema cruciale della carenza posti letto per acuti è spesso un tabù, citato a singhiozzo in una sorta di generale accettazione cieca di investimenti inadeguati, con visioni spesso autoreferenziali, riduttive e avulse da una prospettiva di sistema. Senza l’aumento del finanziamento del Ssn l’attuale condizione dell’Emergenza-Urgenza e di tutto il Ssn non sarà migliorabile: non si potranno aumentare i posti letto, né assumere personale, né potenziare il territorio
Negli ultimi decenni si è vissuta nei Pronto Soccorso l’ossessione per cui riempire con un medico la casella di un ordine di servizio fosse la soluzione per ogni problema: non importa chi – specialista, neolaureato, libero professionista, cooperative – ma bastava un qualunque medico per erogare prestazioni, anche in barba a leggi e contratti. Per decenni le catene di comando, dai primari ai direttori generali, alla politica, hanno creduto ciecamente che all’aumento degli accessi dovesse corrispondere un automatico incremento di personale, anzi senza controllare l’incremento degli accessi si poteva persino aumentare la richiesta di medici.
Un grave errore di programmazione, che non ha tenuto in minima considerazione né i pensionamenti di questi anni (la “gobba pensionistica” analizzata da Anaao già nel 2011), né il limite di posti nelle scuole di specializzazione. Questa distorsione non ha consentito di riorganizzare progressivamente un sistema in cui concentrare il lavoro sulla reale mission del Pronto Soccorso e indirizzare specifiche problematiche ai percorsi più idonei, ma ha contribuito a trasformare il Pronto Soccorso nell’unica risposta ai bisogni dei cittadini supplendo a ogni carenza. In tale contesto gli specialisti non basteranno mai. Lo ha spiegato bene Giuseppe Remuzzi in una recente intervista, con l’esempio delle valanghe: si pensa che per arginare una valanga si debbano costruire a valle grandi muraglie, invece di affrontare il problema a monte.
Aggiungiamo le inerzie gestionali nelle catene di comando per affrontare iperafflusso e sovraffollamento, con l’assenza di una visione nazionale unitaria, che fino ad ora si è limitata a “fast-track” di rito – non sempre applicati correttamente – o ai tempari dei codici colore, e senza considerare l’ospedale come una vera comunità di professionisti, ma un’azienda dove personale sanitario e pazienti rappresentano solo un costo o un guadagno, fra “obiettivi di budget”. Nel 2018 il Ministero della Salute aveva dato disposizioni a Regioni e Aziende affinché formulassero piani per la gestione del sovraffollamento in Pronto Soccorso. Che cosa è stato fatto?
La recente ricorrenza del 1° maggio fa ancora riflettere su come oggi, in un’ottica aziendalistica, il concetto di lavoro resti scollegato da chi lo esercita, quando una volta, come ricorda Alessandro Barbero, per “lavoro” si intendevano i lavoratori. Anche la carenza di specialisti ha infatti le sue radici in questo sistema deformato, dove chi grida alla mancanza di medici dimentica che nonostante l’incremento dei contratti di formazione specialistica avviato a partire dal 2018, attualmente il 76% dei posti banditi nelle scuole di specializzazione di Emergenza-Urgenza è vacante. Fatto ben più grave è quindi che i giovani medici non vogliano lavorare in Pronto Soccorso, trasformato in un luogo sempre più inospitale: la professione è stata svilita e non è più appetibile, per sovraccarico lavorativo, turnistica caotica e pressante, dotazioni organiche e organizzazione incostanti, rischi di ogni tipo, aggressioni.
È incredibile poi che Regioni e Aziende sborsino cifre colossali per le cooperative – lasciando reggere persino interi Pronto Soccorso – ma senza fare altrettanto per i propri medici, schiacciati dai tetti di spesa. Nella precarietà generale è paradossale che in tal modo in certe aziende sanitarie sembra non manchino gli specialisti, ma che non vogliano più lavorare a condizioni non sostenibili. Persino la Corte dei Conti, nella relazione di quest’anno al Parlamento, ha denunciato “una difficoltà a coprire le posizioni stabili in organico, sintomo di una certa disaffezione all’impiego pubblico in sanità”.
Il boarding resta ancora un grave problema anche se diffuso a macchia di leopardo, pesantissimo in alcune regioni e irrisorio in altre (lasciando quindi pensare all’incidenza di errati modelli organizzativi), andando a braccetto col sovrannumero di letti aggiuntivi nei reparti, rischi inclusi. Il problema reale è la grave carenza di posti letto per acuti in Italia, di cui il boarding è solo una diretta conseguenza. Il progressivo taglio di 80000 letti in vent’anni fino al 2020, nonostante un minimo incremento registrato al 2022, ha portato l’Italia a una media insufficiente di 3,18 letti per 1000 abitanti, rispetto ad altri paesi come Francia (6) o Germania (7,8) e a una media europea superiore a 5. Il Pronto Soccorso diventa un imbuto: con un tasso di occupazione in molte aree mediche di oltre il 100% non è possibile ricoverare, situazione neppure giustificabile con la difficoltà di dimettere verso strutture intermedie a bassa intensità, ancora carenti o inesistenti. Una montagna da scalare attualmente insormontabile.
Agenas cavalca quindi una nuova visione, espressione del DM 77: se prima si credeva di dover riempire i Pronto Soccorso di medici, ora dovremmo credere che basterebbero le Case di Comunità a eliminare l’iperafflusso nei Pronto Soccorso o che gli Ospedali di Comunità e le RSA risolverebbero le dimissioni dei pazienti usciti dalla fase acuta, gestendo le cronicità. Ma con quali risorse?
Lo scenario è gravemente insufficiente e i costi delle strutture private non consentono alle famiglie di accedervi. È fuori discussione che sia fondamentale decongestionare il sovraccarico lavorativo nei Pronto Soccorso sia in entrata che in uscita, delocalizzare le basse priorità per ripristinare appropriatezza e qualità del lavoro, decisamente troppo sbilanciato verso basse intensità di cura (80% circa). Attenzione però a spostare l’ago della bilancia su altri versanti, dimenticando che i pazienti pluripatologici necessitano sempre di più anche di cure a elevata intensità, col rischio di trasformare Ospedali di Comunità e RSA in strutture non idonee e insicure.
Il tema cruciale della carenza posti letto per acuti è spesso un tabù, citato a singhiozzo in una sorta di generale accettazione cieca di investimenti inadeguati, con visioni spesso autoreferenziali, riduttive e avulse da una prospettiva di sistema. Senza l’aumento del finanziamento del SSN – una priorità assoluta – l’attuale condizione dell’Emergenza-Urgenza, intra ed extraospedaliero, e di tutto il SSN non sarà migliorabile: non si potranno aumentare i posti letto, né assumere personale, né potenziare il territorio. È ormai noto che in Italia il rapporto tra spesa sanitaria e PIL è imbarazzante rispetto agli altri paesi europei, con un 6,4% in continuo calo fino al 2027 rispetto a valori superiori al 10% in Germania e Francia, un incremento della spesa per cure a lungo termine fra le più basse in Europa, l’erosione del potere di acquisto, ponendo l’Italia – come ricorda GIMBE – all’ultimo posto fra i paesi del G7 con un gap di quasi 50 miliardi nella spesa sanitaria pro-capite rispetto alla media europea.
La nostra Associazione ribadisce infine l’obiettivo comune di tutte le figure coinvolte in questa annosa problematica che continua ad accendere dibattiti, dove ognuno conservi tuttavia il proprio ruolo specifico, senza contrapposizioni. È infatti indubbio, e la pandemia l’ha dimostrato, che l’integrità del SSN è retta oramai solo dalla dedizione e abnegazione di tutto il personale sanitario, ma è opportuno comprendere che il rappresentante dei lavoratori del settore e il loro vero interlocutore è solo il sindacato, battendosi da sempre per garantire diritti e doveri in ogni sede e a ogni livello, dai tavoli aziendali a quelli regionali e nazionali, ai tribunali di ogni ordine e grado, alla stampa, impegnato su più fronti: remunerativo, organizzativo, contrattuale.
Mirko Schipilliti
Coordinatore Commissione Nazionale Emergenza-Urgenza Anaao Assomed
QS