Questa sera nuovo intervento sull’articolo 18 per gli statali del ministro del lavoro Elsa Fornero in conferenza stampa a Palazzo Chigi. «Non era nel mio mandato e potere intervenire sugli statali. Questo non vuol dire che non interverremo. Il governo valuterà cosa deve essere fatto. Se ne occuperà il ministro Patroni Griffi». La possibilità che la modifica dell’articolo 18 decisa dal governo nell’ambito della riforma del mercato del lavoro possa essere applicata anche al pubblico impiego non è chiarissima, soprattutto se si presta attenzione ai commenti rilasciati ieri da diversi esponenti del governo e del mondo sindacale. Dopo un crescendo di battute e polemiche la precisazione del ministero della Pubblica Amministrazione: “si valuterà se ricorra l’esigenza di norme che tengano conto delle peculiarità del lavoro pubblico”.
Resta da capire se lo stop del governo (che la Fornero ha poi rettificato, almeno in parte, oggi), arrivato dopo una imbarazzante confusione che sembra andare di pari passo con le critiche rivolte alla sua comunicazione sulla riforma da un gruppo di illustri giuslavoristi, sia frutto solo di una valutazione di opportunità politica o l’effetto di ostacoli oggettivi di tipo giuridico che ne potrebbero fermare l’estensione anche a fronte di un crescente movimento di opinione.
La Legge 20 maggio 1970, n. 300 contenente “Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e nell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento” (meglio conosciuta come Statuto dei lavoratori) afferma chiaramente che l’articolo 18 si applica “nelle unità produttive con più di 15 dipendenti (5 se agricole); nelle unità produttive con meno di 15 dipendenti (5 se agricole) se l’azienda occupa nello stesso comune più di 15 dipendenti (5 se agricola); nelle aziende con più di 60 dipendenti”.
Nessun accenno quindi al settore pubblico, al quale viene però applicato lo Statuto dei lavoratori in base al comma 2 dell’articolo 51 della legge 165/2001 (Testo unico sul pubblico impiego) dove si afferma che “la legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni ed integrazioni, si applica alle pubbliche amministrazioni a prescindere dal numero dei dipendenti”. Un principio ribadito anche da una importante sentenza della Cassazione (la n. 2233 dell’1 febbraio 2007) che ha stabilito come per il recesso del rapporto di lavoro degli impiegati pubblici (e dei dirigenti, a questi assimilati), valgono le stesse norme che regolano il licenziamento dei dipendenti privati con qualifica impiegatizia, ovvero l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, e il diritto alla reintegrazione.
L’applicazione dello Statuto dei lavoratori ai dipendenti pubblici sancito dal Testo unico prevede però una disciplina normativa diversa da quella del settore privato, compresa quella relativa ai licenziamenti. Senza contare che il punto più controverso dell’attuale modifica dell’articolo 18 riguarda il rischio di un’estensione generalizzata dei licenziamenti motivati con ragioni economiche, valutazione tipica del settore privato, ma di difficile interpretazione in quello statale.
Per questo, al netto delle valutazioni di opportunità politica, la migliore fotografia della situazione sembra essere contenuta nella nota diramata nel pomeriggio di ieri dal ministero della Funzione Pubblica per chiarire che “solo all’esito della definizione del testo di riforma del mercato del lavoro si potranno prendere in considerazione gli effetti che essa potrebbe avere sul settore pubblico”. E se effetti ci saranno “si valuterà se ricorra l’esigenza di norme che tengano conto delle peculiarità del lavoro pubblico”.
Insomma, alla fine la riposta ai dubbi sull’estensione della riforma dell’articolo 18 ai lavoratori pubblici potrebbe non essere né “sì”, né “no”, bensì “non ancora”. (Repubblica – 22 marzo 2012)
Di seguito la vicenda nella cronaca del 21 marzo 2012
«Art.18, licenziamenti valgono anche per dipendenti pubblici». Fornero: «Statali esclusi da riforma»
Prima arriva la notizia che il dipartimento della Funzione pubblica apre all’estensione delle nuove regole sui licenziamenti al pubblico impiego, con conseguente levata di scudi di Cigil e Uil. Poi arriva una nota del dipartimento, che chiarisce: occorre attendere la definizione della riforma, poi si valuterà se è necessario adottare nuove regole per la Pa. Il tutto avviene nel giro di poche ore. Domani pomeriggio Governo e parti sociali si incontreranno nella sede del ministero di Via Flavia: sarà il vertice finale, in cui si metterà a punto il testo. E in serata fonti del ministero del Lavoro controbattono che le modifiche all’articolo 18 «non riguarderanno gli statali». Del resto, non a caso, si fa notare dal dicastero della Fornero, «il ministro della Pa Patroni Griffi non era presente al tavolo».
Nel pomeriggio le agenzie battono la notizia. Parlano di «una valutazione del dipartimento della Funzione pubblica». Una nota che ricorda: le nuove norme sui licenziamenti senza giusta causa e senza giustificato motivo saranno applicate anche ai lavoratori pubblici poichè anche a loro si applica lo Statuto dei lavoratori. La reintegrazione nel posto di lavoro in caso di licenziamento ingiustificato, quindi, dovrebbe essere assicurata solo in caso di licenziamento discriminatorio. Per i licenziamenti per motivi economici che risultassero illegittimi il lavoratore avrebbe diritto solo a un indennizzo economico (tra 15 e 27 mensilità) mentre nel caso di licenziamenti disciplinari sarà il giudice a decidere, in caso di licenziamento illegittimo, se reintegrare il travet nel suo posto di lavoro o se disporre un risarcimento economico.
Se consideriamo che, in base alla rilevazione effettuata dal Tesoro (aggiornata al 2010), sono circa tre milioni e 200mila i lavoratori a tempo indeterminato nel pubblico impiego (sono tre milioni e mezzo per l’Istat), è possibile definire la platea su cui saranno applicate le nuove regole. Intervengono Cigl e Uil: l’articolo 18 non può coinvolgere gli statali. Nel tardo pomeriggio arriva la nota di precisazione della Funzione pubblica, che attenua la portata della prima indicazione: «solo all’esito della definizione del testo che riguarda la riforma del mercato del lavoro – si legge – si potranno prendere in considerazione gli effetti che essa potrebbe avere sul settore pubblico. Nel qual caso è possibile che si valuterà se ricorra l’esigenza di norme che tengano conto delle peculiarità del lavoro pubblico».
La leader Cgil Susanna Camusso, in conferenza stampa, ribatte alla “strana” nota del Dipartimento della Funzione pubblica. “Licenziamenti nel pubblico, non può essere”. Luigi Angeletti: “La legge 300 si applica al lavoro privato. Quindi l’articolo 18 in essa contenuto non si applica e non si è mai applicato al settore pubblico – dichiara il segretario generale della Uil in conferenza stampa -. Quindi, le modifiche apportate non si applicano. Se il governo ha pensato di cambiare io non ne so nulla e, comunque, non ci è stato comunicato nulla né in forma orale, né scritta. Nella pubblica amministrazione tutto viene regolato per legge: salari, regolamenti, disciplina”. Il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, ha spiegato di «ricordare che la Fornero disse all’inizio di questa storia che il pubblico impiego non era coinvolto». Quindi, ha aggiunto in un incontro con i giornalisti, «non mi risulta» che le nuove norme sui licenziamenti saranno applicate anche agli statali. In caso, invece, siano coinvolti Bonanni si dice «contrario» visto che «abbiamo parlato del settore industriale e dei servizi privati».
Ecco la nota di precisazione del Dipartimento della Funzione Pubblica
Solo all’esito della definizione del testo che riguarda la riforma del mercato del lavoro si potranno prendere in considerazione gli effetti che essa potrebbe avere sul settore pubblico. Nel qual caso è possibile che si valuterà se ricorra l’esigenza di norme che tengano conto delle peculiarità del lavoro pubblico.
Se davvero le regole per gli statali dovessero cambiare, si tratterebbe di una grande novità. Mentre non sarebbero novità alcune concessioni che il governo ha voluto far apparire come tali agli occhi dei sindacati in sede di trattativa, quando in realtà si tratterebbe di tutele “già acquisite da anni”. Quanto sostengono da Bologna 53 personalità, tra professori ed esperti di diritto del lavoro, che giudicano “sconcertante” l’atteggiamento del governo, perché “disinformato” o, in alternativa, “spregiudicato.
Primi firmatari della nota sono Umberto Romagnoli, Luigi Mariucci, Piergiovanni Alleva, Giovanni Orlandini e Sergio Matone, cui seguono i nomi di 21 esperti bolognesi e quelli di altri da Torino (tra i firmatari Luciano Gallino, professore di Sociologia all’università), Firenze, Milano e Roma. Che puntano l’indice, in particolare, sulle due normative annunciate oggi a tutela dei lavoratori: l’obbligo di assumere un lavoratore a tempo indeterminato dopo 36 mesi di contratti a termine e l’estensione dell’obbligo di reintegro in caso di licenziamento discriminatorio anche in un’azienda con meno di 16 dipendenti.
Tutele che, a detta degli esperti, esistono già da tempo nel nostro ordinamento, ma che il governo presenta come nuove “per far digerire la pillola delle modifiche peggiorative”. Nello specifico, i 53 giuslavoristi indicano che l’estensione dell’obbligo di reintegro nelle piccole aziende è previsto dall’articolo 3 delle legge 109 del 1990, mentre il termine massimo dei 36 mesi è previsto dall’articolo 5 comma 4 bis del decreto legislativo 368 del 2001.
a cura di C.Fo – riproduzione riservata – 21 marzo 2012