La sanità veneta è all’avanguardia e curarsi qui, in molti casi, è meglio che curarsi altrove. E però anche nel Veneto virtuoso esistono ampi margini di miglioramento, sia sotto il profilo della qualità delle prestazioni, sia sotto quello dell’efficienza nel rapporto tra le cure ed il loro costo. Lo rivela il rapporto 2012 dell’Agenas, l’Agenzia italiana per la salute che ogni anno mette a punto per conto del ministero una dettagliata analisi sul funzionamento delle strutture ospedaliere italiane. Il «Piano nazionale esiti» sui dati 2011, condotto su milioni di schede di dimissione in cardiologia, neurologia, chirurgia, ortopedia ed ostetricia, non è ancora stato reso pubblico. Chiuso alla fine della scorsa settimana, è stato consegnato alle Regioni solo qualche giorno fa.
E, dopo la spending review, entrerà a far parte a tutti gli effetti degli strumenti di programmazione sanitaria, per cui Palazzo Balbi dovrà tenerne conto nelle schede ospedaliere che entro fine anno stabiliranno se chiudere o meno alcuni ospedali e se sì, quali.
L’anno scorso gli ospedali pubblici e privati accreditati del Veneto (complessivamente sono 78) hanno registrato 765.831 ricoveri, ai quali in 342.350 casi è poi seguito un intervento chirurgico. In cima alla classifica, nel conto complessivo, si piazzano l’Usl di Bussolengo (68.973 dimissioni, 37.909 interventi), l’Azienda ospedaliera di Verona (68.350 e 30.840) e quella di Padova (66.923 e 28.351). In coda, invece, ci sono le Usl di Este (19.259 dimissioni e 9.621 interventi), Feltre (13.648 e 5.096) e Chioggia (ferma a 7.438 e 2.964). Uno dei punti di criticità individuati dal dossier Agenas è proprio il volume delle prestazioni rese, all’interno delle singole Usl, dalle strutture più piccole e periferiche. Quali? Difficile dirlo visto che a differenza del 2011, quest’anno Agenas ha deciso di non prendere neppure in considerazione gli ospedali al di sotto di una soglia minima di casi, che avrebbero finito col rivelarsi fuorvianti sotto il profilo statistico. Ininfluenti per la matematica, meno per la politica: su questi presidi, infatti, si concentrerà l’attenzione della Regione, visto che l’Organizzazione mondiale della sanità indica chiaramente come «meno sicuri» gli ospedali che accolgono solo poche decine di pazienti all’anno. Quello di Chioggia, ad esempio, pur non essendo tra quelli che i sussurri vorrebbero in via di chiusura, si piazza agli ultimi posti tanto nella classifica sul trattamento dell’ictus che in quella dei parti cesarei, tra le patologie benchmark scelte da Agenas. Difficile non mettere questo risultato in relazione ai pochi ricoveri registrati nella sua Usl di riferimento.
Il dato complessivo sui cesarei, una delle criticità individuate dal dossier, appare particolarmente interessante: la percentuale dei parti chirurgici, al 32% nelle strutture con meno di 500 nascite l’anno, scende al 28% tra i 500 ed i 1.000 parti ed al 26% in quelle che superano i 1.000. La media veneta, al 27,3% su 44.481 nascite, è molto positiva (bene soprattutto San Bonifacio, Montebelluna, Camposampiero e Bassano, tutte sotto il 15%) ma ci sono realtà come Pieve di Cadore (45% di cesarei), Trecenta (41%) o per l’appunto Chioggia (40%) in cui anche a causa della scarsa disponibilità di personale c’è molto da migliorare: l’assenza di anestesisti e ginecologi h24, infatti, è una delle cause dei cesarei frequenti. Argomentazioni analoghe si possono riferire aalla cura dell’infarto, che pure risulta in diminuzione (6.400 casi nel 2011) con un calo della mortalità del 30% negli ultimi 15 anni grazie alla rete dedicata ed alla prevenzione. Solo 19 strutture superano la soglia «soddisfacente» di 100 casi all’anno: al top ci sono l’azienda ospedaliera di Padova (470 casi) e l’ospedale dell’Angelo di Mestre (323) mentre la classifica, ponderata dal tasso di mortalità, è chiusa da Adria e Belluno (rispettivamente 93 e 84 casi). Menzione a parte per l’azienda ospedaliera di Verona, che in un anno ha trattato ben 297 casi di bypass aortocoronarico con tassi di mortalità bassissimi.
Nella cura dell’ictus buoni risultati sono stati conseguiti a San Bonifacio, di nuovo dall’azienda ospedaliera di Verona (Borgo Roma) e ad Arzignano, mentre la situazione è stata meno rosea, oltre che a Chioggia, a Dolo (entrambe si segnalano, ancora una volta, per lo scarso numero di episodi trattati e comunque anche qui il numero di ospedali che supera «quota 100» si ferma a 23 su 78). Chiudiamo con l’ultima criticità individuata dal rapporto Agenas nell’ambito della cura della frattura del femore, una patologia molto diffusa tra i più anziani. I direttori generali hanno ricevuto indicazione dalla Regione di operare i pazienti nell’arco di 48 ore, una tempestività che riduce di molto il rischio di complicazioni. Ebbene, se Montecchio metta a segno con l’88% degli interventi nei tempi un record a livello nazionale (nella classifica ponderata è però al 10mo posto), e bene stanno facendo anche Montebelluna e Dolo, altrettanto non si può dire dell’Angelo di Mestre, che con 250 casi all’anno (sono molti) si ferma appena al 5%. Dovranno migliorare anche Bassano e Treviso, che non superano il 10%, forse per problemi di organizzazione: evidentemente si faticano a dare le giuste priorità. In tal senso sono già partite nuove e pressanti indicazioni dal segretario generale della Sanità Domenico Mantoan.
Marco Bonet – Corriere del Veneto – 23 settembre 2012