I dati ufficiali del Welfare indicano un deciso peggiomento della situazione rispetto al 2011. Il picco nell’ultimo trimestre quando sono stati cancellati quasi 330mila rapporti di lavoro. Oltre un milione di persone sono state licenziate nel 2012. Per l’esattezza: 1.027.462, con un aumento del 13,9% rispetto al 2011. È quanto si evince dal sistema delle comunicazioni obbligatorie del ministero del Lavoro. Nel solo ultimo trimestre sono stati 329.259 in un aumento del 15,1% sullo stesso periodo 2011. Nell’intero 2012 sono stati attivati circa 10,2 milioni di rapporti di lavoro a fronte di quasi 10,4 milioni cessati, nel complesso, tra dimissioni, pensionamenti, scadenze di contratti e licenziamenti. Andamento del mercato del lavoro. Le statistiche del Ministero
I licenziamenti registrati nel periodo riguardano sia quelli collettivi, sia quelli individuali (per giusta causa, per giustificato motivo oggettivo o soggettivo).
Tornando al quarto trimestre del 2012, le nuove assunzioni (in termini di rapporti di lavoro attivati, dipendenti o parasubordinati) sono state oltre 2,2 milioni (2.269.764), con un calo del 5,8% rispetto allo stesso trimestre del 2011. Assunzioni che corrispondono a poco più di 1,6 milioni (1.610.779) di lavoratori interessati, in ampio decremento: l’8,2% in meno rispetto al quarto trimestre del 2011, con valori negativi maggiori tra i giovani (-13,9% e -10,9% rispettivamente tra i 15-24enni e i 25-34enni).
I lavoratori over-55, tra i 55 e i 64 anni registrano un leggero incremento (+0,4%), mentre più sostenuto è l’aumento, sempre rispetto allo stesso periodo dell’anno prima, degli ultrasessantacinquenni interessati da un nuovo rapporto di lavoro (+7,6%). Infine, sempre nel quarto trimestre del 2012, in totale i rapporti di lavoro cessati sono stati poco più di 3,2 milioni (3.205.753), con una leggera diminuzione (-0,2%) rispetto al quarto trimestre 2011.
«Circa il 17% dei contratti di lavoro stipulati nell’ultimo trimestre del 2012 sono relativi a rapporti da uno a tre giorni totali — sottolinea l’ex governatore del Veneto, Giancarlo Galan — mentre il 12%, 389 mila contratti, sono rapporti di un solo giorno. Un solo giorno di lavoro. E ci domandiamo ancora cosa fare? Dobbiamo immediatamente dare vita ad un governo». «Serve una terapia d’urto come la detassazione totale per i nuovi contratti», incalza l’ex ministro del Welfare Pdl, Maurizio Sacconi. Mentre il responsabile del Lavoro del Pd, Stefano Fassina, precisa: «Noi i segnali di cambiamento di rotta li stiamo già dando. La situazione è drammatica, ma il decreto per il pagamento dei crediti alle imprese è un primo passo per allentare l’austerità che oltre a danneggiare l’economia non salva la finanza pubblica».
«Perdiamo duemila posti di lavoro al giorno, e se non consideriamo prioritario per il Paese il tema dello sviluppo non ne usciremo fuori», conferma Paolo Pirani, segretario confederale della Uil. Ma la riforma Fornero che ruolo ha giocato? «Le sue sono state ricette inutili, se non addirittura controproducenti — sostiene Pirani —. Adesso è più complicato assumere le persone ed è meno semplice sostenere chi non ha un lavoro con gli ammortizzatori sociali, tant’è vero che il 16 aprile i sindacati saranno in piazza per chiedere un incremento delle risorse». «La crisi pesa, ma sicuramente l’ultimo trimestre del 2012 è quello in cui la revisione dell’articolo 18 è stata pienamente acquisita dal sistema economico, e la maggiore licenziabilità ha creato questi risultati — sottolinea invece Claudio Treves, Cgil —. Che la maggiore possibilità di licenziare potesse promuovere anche maggiore libertà di assumere, è totalmente fallace». «Secondo me la legge Fornero non ha nè migliorato nè peggiorato il mercato del lavoro — minimizza il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni —. Adesso però bisogna promuovere azioni concrete: rimpinguare i soldi per la cassa integrazione in deroga, che riguarda circa 800 mila persone che rischiano di ingrassare la quota dei licenziati, e incentivare le assunzioni attraverso una leva fiscale, che offra condizioni vantaggiose agli imprenditori per spingerli ad assumere».
Crisi, boom di giovani in fuga dall’Italia
I dati più recenti dell’Anagrafe della popolazione Italiana Residente all’Estero. Boom dell’emigrazione: 30% in più. La Germania è la meta preferita
La crisi ha fatto «esplodere» l’emigrazione italiana, che nel 2012 ha registrato un boom che non si vedeva da decenni: più 30,1% rispetto all’anno precedente. Ad andare all’estero sono più uomini che donne, più trentenni e lombardi. La Germania il Paese preferito come punto d’arrivo. A rivelarlo sono i dati più recenti dell’Anagrafe della popolazione Italiana Residente all’Estero (Aire), resi noti dalla trasmissione «Giovani Talenti» di Radio 24 oggi. Lo scorso anno l’emigrazione dalla Penisola è passata dai 60.635 cittadini del 2011 ai 78.941 del 2012. Gli uomini erano il 56% contro il 44% di donne, e si conferma la preponderanza di giovani: gli emigrati della fascia di età 20-40 anni sono aumentati in un anno del 28,3%, alimentando quella che viene definita «la fuga dei talenti» che nel 2012 ha costituito il 44,8% del flusso totale di espatrio.
A livello generale, la Lombardia si rivela la regione che maggiormente alimenta l’emigrazione: ben 13.156 lombardi hanno trasferito la propria residenza all’estero nel 2012, davanti ai veneti (7456), ai siciliani (7003), ai piemontesi (6134), ai laziali (5952), ai campani (5240), agli emiliano-romagnoli (5030), ai calabresi (4813), ai pugliesi (3978) e ai toscani (3887).
Il 62,4% degli emigrati nel 2012 ha scelto l’Europa come Continente di destinazione, seguita dall’America Meridionale, l’America Settentrionale e Centrale e l’Asia-Africa-Oceania. Per Paesi, la Germania è la prima meta di destinazione (10.520 italiani l’hanno scelta), seguita da Svizzera (8906), Gran Bretagna (7520), Francia (7024), Argentina (6404), USA (5210), Brasile (4506), Spagna (3748), Belgio (2317) e Australia (1683).
Sono 2.320.645 gli italiani complessivamente espatriati dal Paese a partire dal primo luglio 1990, quasi 600 mila di questi appartenevano alla fascia 20-40 anni. Gli italiani complessivamente residenti all’estero al 31 dicembre 2012 ammontavano a 4.341.156, in crescita di 132.179 unità rispetto all’anno precedente.
Il Corriere della Sera e La Stampa – 7 aprile 2013