Semplificazioni, mobilità, dirigenza, open data e riordino degli enti. Sono i cinque assi su cui si muoverà la riforma della Pa targata Matteo Renzi. Che – come annunciato dallo stesso premier a “Porta a Porta” – partirà oggi con l’illustrazione in Consiglio dei ministri delle priorità e si concluderà da qui a un mese e mezzo con il varo di due provvedimenti, probabilmente un decreto e un disegno di legge delega. I titoli delle misure in arrivo li ha annunciati direttamente il presidente del Consiglio dal salotto televisivo di Bruno Vespa. «Domani (oggi, ndr) – ha detto – presentiamo i provvedimenti che proponiamo alla pubblica amministrazione con metodo un po’ diverso. Ci saranno molte cose – ha aggiunto – che faranno discutere, dalla giustizia amministrativa alla licenziabilità dei dirigenti». Ad esempio – ha spiegato – «cambierà il meccanismo della sospensiva» davanti ai Tar.
Il piano Renzi per la Pa. Il premier: oggi le priorità, poi i provvedimenti
dal Sole 24 Ore. In contemporanea si darà inizio a una sfida «nei confronti di chi lavora nella Pa, coinvolgendoli». Non licenziandone 85mila, stando agli esuberi teorici individuati dal commissario alla spesa Carlo Cottarelli nella Pa, bensì facendoli lavorare di più. A beneficiarne saranno soprattutto i cittadini che – ha promesso l’ex sindaco di Firenze – avranno un’identità digitale, con un «pin che permetterà l’accesso ai servizi pubblici. Che tradotto in pratica – ha chiosato – «vuol dire mai più code per un certificato e non pagare più in un certo modo la bolletta».
Qualche dettaglio in più su ambiti e tempi del riordino lo ha fornito il ministro della Pubblica amministrazione, Marianna Madia. Mentre Renzi era impegnato negli studi di Rai Uno per la registrazione della trasmissione tv, la titolare di Palazzo Vidoni era intenta, insieme alla collega agli Affari regionali (Maria Carmela Lanzetta), a illustrare ai rappresentanti di Regioni, Province e Comuni i capisaldi della riforma. Che in prima battuta riguarderà solo le amministrazioni statali. Anche se l’obiettivo del governo è quello di avviare un confronto con le autonomie per estendere la stretta agli enti territoriali.
Il riassetto – ha chiarito Madia – si articolerà in cinque interventi. Per ognuno dei quali verrà avviato un tavolo (non per forza fisico) con cadenza settimanale così da arrivare al varo complessivo della riforma, che si articolerà molto probabilmente in un Dl e un Ddl come già avvenuto per la riforma del lavoro, entro un mese e mezzo. Si partirà con le semplificazioni in tre settori chiave: ambiente, edilizia e fisco. Si proseguirà con le altre misure anticipate nei giorni scorsi su questo giornale: il potenziamento della mobilità in entrata e uscita previa individuazione dei fabbisogni di ogni Pa; l’addio ai premi di risultato “a pioggia” e la sostituzione con un meccanismo che colleghi la retribuzione (e in alcuni casi la stabilità dell’incarico) al raggiungimento effettivo degli obiettivi, anche relativi al sistema Paese; la spinta sul terreno degli “open data” per arrivare alla trasparenza assoluta; la riunificazione delle cinque scuole di formazione e il taglio degli enti inutili.
Il riassetto parte dalle leggi mai attuate. Delrio al lavoro su decine di norme rimaste sulla carta
Dal Sole 24 Ore. L’obiettivo di semplificazione della Pa ha attraversato l’attività degli ultimi Governi. A cominciare da quello di Monti, che ha dedicato allo snellimento degli oneri amministrativi per cittadini e imprese un decreto legge ad hoc, ribattezzato proprio Semplifica-Italia, fino alle varie norme di alleggerimento contenute nel decreto del Fare varato da Letta. E ora l’attuale Esecutivo ci ritenta, all’interno di un disegno più complessivo di riordino della pubblica amministrazione. Il sottosegretario di Palazzo Chigi, Graziano Delrio, sta lavorando alla ricognizione dei provvedimenti attuativi ereditati dalle precedenti gestioni e rimasti al palo per fissare le priorità.
La partita è importante sia per rendere gli uffici pubblici più efficienti, sia perché sono in ballo risparmi consistenti. Basti pensare che il costo della burocrazia per le Pmi – dall’ambiente all’edilizia, passando per il lavoro e il Fisco – è stato stimato in oltre 30 miliardi di euro l’anno. Le riforme avviate a partire dal Governo dei professori si propongono di tagliare gli oneri per 9 miliardi.
Il traguardo, però, è stato centrato solo in parte, perché alcuni interventi non sono ancora operativi per la mancanza dei decreti attuativi. È vero, infatti, che alcune misure di rilevante impatto sono arrivate al traguardo: per esempio, il cambio di residenza veloce, l’autorizzazione unica ambientale, le linee guida sulla razionalizzazione dei controlli sulle imprese, la misurazione degli adempimenti per fare in modo che siano a “crescita” zero, l’indennizzo in caso di tempi troppo lunghi delle pratiche. È, però, altrettanto vero che all’appello mancano ancora tasselli importanti anti-burocrazia. Ed è su questo che Delrio vuole imprimere un cambio di passo.
C’è, per esempio, tutto il pacchetto di semplificazione delle procedure relative alla sicurezza sul lavoro, previsto dal decreto legge del Fare. Così come, per rimanere alle misure per le imprese, è in lista d’attesa la definizione del piano delle zone a burocrazia zero, le regole per l’acquisizione d’ufficio dei documenti dei lavoratori extracomunitari, la trasmissione online del certificato di gravidanza, obbligo già rinviato una volta dal milleproroghe di fine 2013.
Deve ancora vedere la luce, poi, il provvedimento sulle semplificazioni delle comunicazioni telematiche quotidiane dei titolari di partita Iva all’Agenzia delle entrate. Al di là di quanto promesso dalla delega fiscale, c’è da considerare che lo snellimento degli obblighi tributari è al primo posto nelle richieste di semplificazione di cittadini e imprese, come risulta dalla consultazione avviata dal ministero della Pa che si è conclusa fine gennaio.
Da chiudere anche la partita sugli interventi edilizi di lieve entità nelle zone protette e deve ricevere impulso il processo di e-government: resta incompiuta l’Agenzia per l’Italia digitale e sono di là da venire le regole per l’accesso veloce di cittadini e imprese ai servizi in rete.
Esuberi. Pensione anticipata , interessati 200 mila statali
Dal Messaggero – Nessuno verrà licenziato. Matteo Renzi prova a rassicurare gli statali che, in fin dei conti, costituiscono ancora una consistente fetta dell’elettorato del Partito Democratico. Gli 85 mila esuberi indicati dal Commissario alla spending review Carlo Cottarelli, ha spiegato il premier, sono solo «teorici». Ma dalla riforma della Pubblica amministrazione è legata anche una consistente fetta, 3 miliardi di euro, di risparmi necessari a mantenere in piedi l’impalcatura dei conti pubblici disegnata nel Documento di economia e finanza. Dunque, dalla voce «statali» dovranno arrivare risparmi di spesa. Il tentativo del governo sarebbe quello di rendere le uscite il più indolore possibile. La prima misura sarebbe l’abolizione del «trattenimento in servizio», un istituti che oggi permette ai dipendenti pubblici che hanno maturato i requisiti per andare in pensione di restare al lavoro per altri ventiquattro mesi. In modo volontario, insomma, si può chiedere all’amministrazione di prolungare il servizio fino a 67 anni. Questa possibilità, secondo quanto trapela, verrebbe cancellata. In questo modo i pensionati pubblici aumenterebbero di circa 20 mila unità all’anno. Non solo. Nelle settimane scorse il ministero della Funzione pubblica avrebbe chiesto alla Ragioneria dello Stato delle simulazioni puntuali su quanti sono i dipendenti pubblici che da qui al 2018 matureranno i requisiti per la pensione. Si tratterebbe di una platea di oltre 200 mila persone che potrebbero essere interessate da scivoli e prepensionamenti.
LE OPZIONI
Una delle ipotesi allo studio è quella dell’esonero dal servizio, una indicazione in tal senso era stata inserita dallo stesso Cottarelli all’interno del suo piano di spending review. Per i lavoratori vicini alla pensione, per esempio per coloro a cui manca un solo anno di lavoro, e che ricoprono posizioni in esubero, verrebbe proposto di restare a casa con uno stipendio ridotto, magari dando la disponibilità a lavorare part time, anche solo poche ore a settimana, in strutture pubbliche che viceversa hanno carenze di personale. Un meccanismo che non creerebbe nemmeno disparità di trattamento con il settore privato, dove il ministro del lavoro Giuliano Poletti, sta lavorando al prestito pensionistico per anticipare il ritiro dal lavoro con una penalizzazione. I prepensionamenti servirebbero anche a svecchiare la pubblica amministrazione con il meccanismo della «staffetta generazionale» annunciato dal ministro Marianna Madìa. Si sta ancora ragionando di quante nuove assunzioni sbloccare ogni statale che lascia il lavoro per la pensione. L’attuale turn over è fissato in uno a cinque. Ogni cinque pensionati un nuovo assunto. Lasciando questa proporzione con una platea così ampia di possibili prepensionati, i 3 miliardi di risparmi previsti da Cottarelli potrebbero anche lievitare di molto, fino quasi a raddoppiare. Ma si pensa anche alla possibilità di portare il rapporto a un nuovo assunto ogni tre fuoriusciti. C’è poi il tema della dirigenza pubblica. Gli stipendi verranno ridotti, soprattutto la parte di risultato che non aumenterà più insieme all’indennità di posizione. Arriverà il ruolo unico, la mobilità e la licenziabilità. Presto il taglio, sulla falsa riga di quello del 15 per cento già applicato a Palazzo Chigi, potrebbe arrivare anche per le società non quotate. Il tetto dei 240 mila euro ha provocato un effetto paradossale per cui diversi dirigenti guadagneranno più dei loro amministratori delegati.
Arriva la riforma del pubblico impiego
Da Repubblica. Rivoluzionare la busta paga e il ruolo dei «troppi» dirigenti, svecchiare la burocrazia, sia in termini di età media di chi ci lavora che quanto a processi utilizzati: via la code, avanzi il digitale. Ecco le linee guida del la riforma della Funzione Pubblica modello Matteo Renzi- Marianna Madia. Una riforma che il premier e il ministro della Funzione Pubblica avvieranno oggi in Consiglio dei ministri e che si concretizzerà nella prossime settimane in due atti, un disegno di legge delega e un decreto che dovrebbe contenere provvedimenti di semplificazione.
Mettere mani nella macchina dello Stato, non sarà facile, ha commentato Renzi parlando a «Porta a Porta»: «È la cosa più difficile che possiamo fare non basta la Nasa, forse i Marines». Il premier, rispondendo alle critiche dei sindacati finora esclusi dalla partita, precisa che «le persone saranno coinvolte e sfidate con metodi che sorprenderanno»: non ci sarà un referendum «ma una forma di consultazione» online; l’obiettivo sarà rendere la funzione pubblica «accessibile, trasparente, semplice, a portata di tutti». Vasta la materia trattata: «Ci saranno molte cose che faranno discutere, si va su vari settori: dalla giustizia amministrativa alla retribuzione, alla licenziabilità dei dirigenti». Di diversi capitoli in realtà già si profila la struttura: fra i più importanti dovrebbero esserci quelli che cambieranno la vita ai dirigenti e svecchieranno, anche anagraficamente, il popolo degli oltre tre milioni di statali. Al vertice i cambiamenti saranno notevoli: al di là dei 240 mila euro annui lordi massimi all’anno previsti come stipendio, la parte variabile del loro stipendio non sarà a pioggia, ma legata al merito e all’andamento del Paese: se l’economia va male i premi salteranno. Per i tremila dislocati nei ministeri torneranno al «ruolo unico» già lanciato dall’ex ministero Bassanini e abolito dal successore Frattini. Le assunzioni non saranno fatte dai singoli dicasteri, ma dallo Stato, quindi i le posizioni ruoteranno e i ruoli saranno a termine. Per loro «ci sarà una sorta di contratto a tempo determinato e i più furbi vanno beccati» ha precisato Renzi . Per i dipendenti, al contrario di quanto lasciato intendere dagli 85 mila esuberi («indicativi» secondo Renzi) di cui parlò Cottarelli nella spending review «non ci saranno licenziamenti», ma anche qui l’obiettivo sarà «beccare i fannulloni e premiare i bravi». Ci sarà una maggiore mobilità (come i premi al merito molte volte annunciata, ma scarsamente applicata) e un ricambio generale dei vertici che coinvolgerà soprattutto la dirigenza, con una staffetta generazionale che – rimettendo mano all’attuale blocco del turn over – passerà attraverso i prepensionamenti e punterà ad abbassare l’età media dei dipendenti (oggi fra le più alte in Europa). Guardando alle semplificazioni, Pin unico a parte, fra i provvedimenti ci sarà un capitolo municipalizzate e uno che riguarderà le gare pubbliche, con l’obiettivo di abbattere i ritardi legati ai ricorsi al Tar.
Statali, tagli ai dirigenti e nuova busta paga .Ai cittadini un codice unico per evitare le code. Renzi: la riforma? Servono i marines
Dal Corriere della Sera Lo schema è simile a quello dell’operazione bonus: prima l’annuncio del piano e poi, dopo una o due settimane, i provvedimenti di legge. Oggi pomeriggio, prima in Consiglio dei ministri e dopo in conferenza stampa, Matteo Renzi e il ministro della Funzione pubblica, Marianna Madia, illustreranno le linee guida della riforma della Pubblica amministrazione. Una rivoluzione, secondo il presidente del Consiglio, che ieri in tv a Porta a porta , ha fornito alcune anticipazioni, condite con qualche battuta: «È molto più facile andare sulla luna che cambiare la Pubblica amministrazione in Italia». Un’impresa, ha proseguito, per la quale «non ci basta nemmeno la Nasa, forse i marines». La riforma si articolerà in un decreto legge, immediatamente operativo, e in disegno di legge delega, dai tempi più lunghi, che verranno approvati nelle prossime settimane. Anche i cittadini verranno chiamati a proporre delle soluzioni, attraverso una consultazione online, confermata ieri da Renzi.
Il presidente ha voluto innanzitutto rassicurare che non ci sono dipendenti pubblici in esubero da licenziare, «perché con il blocco del turnover fatto dai governi precedenti la percentuale dei lavoratori è come quella degli altri Paesi». Piuttosto, ha aggiunto, «dobbiamo far lavorare di più e meglio i dipendenti e chi lo fa deve essere pagato di più» mentre bisogna «beccare i fannulloni e farli smettere». Nel mirino i dirigenti. «Ne abbiamo troppi e quelli che fanno i furbi vanno beccati». La riforma della dirigenza, che potrebbe arrivare per decreto, prevede l’istituzione di un ruolo unico dal quale le diverse amministrazioni potranno attingere conferendo incarichi a termine. La parte variabile della retribuzione non sarà più distribuita a pioggia a tutti ma solo ai meritevoli. Tra gli elementi di valutazione potrebbe giocare un ruolo la performance del Paese e dovranno contare in maniera più stringente di ora i risultati dell’ufficio e il grado di soddisfazione degli utenti. Verranno ridotte le scuole di formazione dei dirigenti che oggi sono cinque.
I cittadini saranno protagonisti. Non solo perché saranno chiamati a dire la loro, ma anche perché verranno dotati di un pin, un codice personale, per accedere alla Pubblica amministrazione e sbrigare online tutte le pratiche e anche per «pagare la bolletta, così non ci saranno più code», ha detto Renzi.
Per i dirigenti e gli altri dipendenti pubblici si studiano meccanismi per distribuire meglio il personale. Sarà possibile la mobilità obbligatoria, entro un certo raggio di chilometri e rispettando competenze e retribuzione del lavoratore. E ci saranno anche norme per favorire la cosiddetta staffetta generazionale, favorendo l’uscita dei lavoratori più anziani per sostituirli in parte con i giovani, i vincitori di concorso e i precari. Dovrebbe essere superato definitivamente l’istituto del trattenimento in servizio (due anni oltre i limiti di pensione). Lo svecchiamento della Pubblica amministrazione, ha detto il presidente del Consiglio, «è un tema vero, su cui lavoreremo molto». Pare quindi di capire che queste misure non entreranno nel decreto, ma nel disegno di legge delega, magari per raccordarsi con misure di flessibilità del pensionamento allo studio anche per i lavoratori del settore privato.
Ci saranno anche cambiamenti di sistema. Verrà ridotto «lo spazio della sospensiva» che i Tar possono decidere e che spesso blocca la realizzazione delle opere per anni. Verranno rafforzate tutte le norme per la trasparenza delle amministrazioni (tutte le spese online) mentre il sottosegretario alla presidenza, Graziano Delrio, ha confermato a Radio anch’io , che ci sarà «una riduzione importante degli enti». È il cosiddetto Sforbicia Italia, altro provvedimento nell’agenda del governo.
Riforma della Pa, lo Stato potrà licenziare i dirigenti. Oggi il premier presenta le proposte del governo
Dalla Stampa. Matteo Renzi oggi apre ufficialmente il cantiere della riforma della pubblica amministrazione. L’ordine del giorno del consiglio dei ministri convocato per le 16 non prevede nulla di specifico, nessun decreto, nessuna nuova legge ma intervenendo ieri sera a «Porta a porta» il presidente del Consiglio ha confermato che manterrà fede agli impegni presi: «Presentiamo con Madia i provvedimenti che noi proponiamo alla Pubblica amministrazione, con un metodo diverso dal solito. Molte cose faranno discutere, si va dalla giustizia amministrativa fino alle questioni legate alla retribuzione mega dei dirigenti e alla gestione della licenziabilità dei dirigenti». I sindacati sono ovviamente già sulle barricate: dopo Cgil e Cisl, che lunedì lamentavano la mancata consultazione, ieri si sono fatte sentire anche Uil, Ugl ed il sindacato dei dirigenti Cida. Che ha messo nero su bianco il suo «no» al tetto degli stipendi per i manager pubblici.
Renzi cerca di esorcizzare le difficoltà e nel salotto di Bruno Vespa evoca John Kennedy. «Io so che è difficile ma gli obiettivi si scelgono non perché sono facili ma perché è la cosa più difficile. E la cosa più difficile che possiamo fare è cambiare la pubblica amministrazione e lì non ci basta nemmeno la Nasa, forse i Marines».
Come è noto, il pacchetto di interventi messo a punto dal ministro Marianna Madia, spazia da misure sui dirigenti, ad interventi sul personale, a misure di semplificazione a favore dei cittadini. Oggi però il governo metterà a fuoco il metodo ed il merito della riforma,mentre i provvedimenti concreti (un decreto ed un disegno di legge delega) arriveranno più avanti.
Dirigenti nel mirino
Si parte dalla testa, dai vertici della macchina pubblica. In dettaglio, ci sarà più mobilità per i dirigenti, che potranno essere anche licenziabili ed il cui compenso potrebbe essere agganciato ad una seria di obiettivi, compreso l’andamento dell’economia del Paese perchè «se il Paese va male, anche i dirigenti devono tirare la cinghia». Quindi si studia l’introduzione di un ruolo unico della dirigenza: sparirebbero in sostanza la divisione tra prima e seconda fascia, così come le assunzioni fatte dai singoli dicasteri, per arrivare ad avere solamente dei «dirigenti della Repubblica», e ci sarebbe un ridisegno del sistema dei concorsi e dei corsi e a valle anche una riorganizzazione delle scuole di formazione che attualmente sono ancora cinque: la Scuola superiore della Pa, quella dell’Interno, l’istituto diplomatico, la scuola dell’amministrazione locale e quella di economia e finanza.
Mobilità per i dipendenti
Per il personale ordinario, il premier esclude che si debba parlare di esuberi e definisce «solo ipotesi» la stima di 85mila fatta dal commissario per la spending review Cottarelli. Questo però non esclude che ci siano soluzioni concordate di uscita, dai prepensionamenti alla pratica dell’esonero dal servizio, che accompagnate dallo sblocco del turn over potrebbero innescare una certa quota di ricambio generazionale.
Visto dalla parte dei cittadini la pubblica amministrazione richiede una buona dose di semplificazione: potrebbero arrivare misure come il codice unico per l’accesso ai certificati on-line, nuovi interventi in materia di trasparenza e sburocratizzazione ed un ulteriore taglio di enti inutili. «Faremo una sfida – ha spiegato ancora il premier – nei confronti di chi lavora nella Pa, coinvolgendoli».
30 aprile 2014