Il prepensionamento è consentito solo nei casi di dichiarazione di soprannumerarietà o di eccedenza e non può mai essere utilizzato come strumento per scansare i nuovi requisiti della pensione di vecchiaia o anticipata, dettati dalla riforma Monti-Fornero di fine 2011. È questa la considerazione principale contenuta nella circolare 4/2014 della Funzione pubblica, che estende a tutte le pubbliche amministrazioni, regioni ed enti locali compresi, la possibilità di collocare in pensione chi è in possesso dei requisiti anagrafici e contributivi validi ante riforma Fornero o che li possono conseguire in tempo utile per perfezionare il requisito entro il 31 dicembre 2016. Non si tratta, quindi, di un diritto soggettivo del lavoratore, bensì di una scelta che opera l’amministrazione nel contesto dei piani di razionalizzazione degli assetti organizzativi e di riduzione della spesa di personale.
Nella circolare, la Funzione pubblica chiarisce una volta per tutte i concetti di “soprannumerarietà” e di “eccedenza” di personale. Il primo caso è quello in cui il personale in servizio supera la dotazione organica in tutte le qualifiche, categorie e aree. Il secondo termine indica, invece, la situazione in cui i lavoratori in servizio superano la dotazione organica solo in alcune qualifiche, categorie o aree in modo da permetterne una eventuale ricollocazione. Con il generale termine di “esubero” si designa, invece, il personale da porre in prepensionamento o in disponibilità.
È arrivata anche la tanto attesa identificazione delle situazioni da cui possono derivare soprannumero o eccedenza di personale: riduzione obbligatoria delle dotazioni organiche per le amministrazioni centrali; ragioni funzionali; ragioni finanziarie che possono portare a squilibrio dei bilanci; piani di ristrutturazione decisi autonomamente dagli enti. Per le autonomie locali viene precisato che le situazioni in esame possono rientrare anche nella volontà di ridurre il rapporto tra spesa di personale e spesa corrente. Ad oggi, per poter assumere, un Comune deve mantenere tale percentuale al di sotto del 50% e quindi il valore viene anche evidenziato come “campanello d’allarme” per la valutazione di criticità negli equilibri finanziari.
Fermo restando l’obbligo di adozione della programmazione triennale del fabbisogno di personale, non si può non ricordare che spetta ai competenti dirigenti l’individuazione dei profili professionali necessari allo svolgimento dei compiti istituzionali delle strutture cui sono preposti. L’adempimento è, quindi, propedeutico a ogni verifica di soprannumero o eccedenza.
Da questa disamina scattano di conseguenza le procedure dettagliate per giungere correttamente al prepensionamento. Punto di partenza è, appunto, una dichiarazione di soprannumero o eccedenza di personale secondo quanto disposto dall’articolo 33 del Dlgs 165/2001. Qualora l’ente intenda avvalersi delle misure in esame, dovrà effettuare una ricognizione delle posizioni dei lavoratori che potrebbero risultare in possesso dei requisiti anagrafici e contributivi vigenti prima del decreto legge 201/2011 e, passaggio fondamentale, chiedere all’Inps la certificazione del diritto a pensione e della relativa decorrenza. L’istituto ha trenta giorni di tempo per dare risposta richiedendo l’ulteriore certificazione di eventuali periodi mancanti. La risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro nei limiti del soprannumero potrà pertanto avvenire solo ed esclusivamente dopo aver acquisito la certificazione da parte dell’istituto di previdenza.
La Funzione pubblica ricorda, infine, che i posti soppressi a seguito di dichiarazione di eccedenza di personale non possono essere più ripristinati e che i prepensionamenti non sono mai utili a definire il budget da destinare a nuove assunzioni (la quota per gli enti locali è pari al 40% delle cessazioni dell’anno precedente).
Il Sole 24 Ore – 30 aprile 2014