La riforma della Pa prende forma con il decreto 90/2014, approdato il 24 giugno in Gazzetta Ufficiale. Ricordiamo le tappe precedenti di questa complicata e del tutto inusuale vicenda: ad aprile Renzi scrive la famosa lettera di 44 punti a tutti i pubblici dipendenti e apre di fatto la consultazione on line sui terni della riforma; i sindacati pochi giorni dopo rispondono punto per punto al documento e aggiungono il loro 45° punto, cioè i rinnovi contrattuali. Finito il momento degli annunci e delle polemiche a distanza con la pubblicazione del DI 24 giugno 2014 n. 90, si può provare a fare un primo commento sugli atti del Governo, limitandosi agli aspetti direttamente riguardanti il personale e, in particolare, quelli che coinvolgono le aziende sanitarie. In buona sostanza si tratta dei punti 1, 2, 6 e 8 della “lettera” iniziale.
Un passo avanti sulle criticità ma il modello non sono i ministeri. A una prima lettura delle norme che possono interessare il personale delle aziende sanitarie, si deve riconoscere al Governo il merito di aver toccato alcuni punti veramente critici con soluzioni adeguate: non è certamente una “riforma organica” – e di certo non può esserlo un decreto legge – ma costituisce sicuramente un passo avanti. Va premessa una considerazione generale che, purtroppo, è dato riscontrare ogni qual volta viene adottato un provvedimento legislativo di carattere generale, sia esso un decreto legge di manovra finanziaria, una legge di stabilità o un provvedimento organico di riforma.
Mi riferisco al consolidato difetto – parzialmente riscontrabile anche nell’attuale testo del Governo – di disciplinare istituti normativi comuni avendo come modello di riferimento sempre e soltanto la struttura ministeriale cioè quella che l’opinione pubblica identifica con la pubblica amministrazione. Basta scorrere la stampa del 12 giugno per verificare agevolmente come i commenti quasi che nella pubblica amministrazione esistano soltanto loro.
E pensare che i numeri danno invece torto a tale tendenza, visto che a fronte di neanche 200mila dipendenti ministeriali abbiamo legioni di “altri” lavoratori pubblici (700mila nella sanità, 1 milione nella scuola, 500mila nelle autonomie locali: quindi questi soli tre comparti costituiscono il 70% del personale contrattualizzato) con le loro specificità, problemi ed esigenze peculiari che vengono spesso ignorati nel testo normativo che, come detto, ha sempre il target del ministero.
Ssn diluito nel testo. Nel decreto qualche isolata disposizione si riferisce a situazioni peculiari del Ssn (articoli 15, 26 e 27) ma quando la norma riveste carattere di generalità – a esempio le modifiche al decreto 165 – si torna alla tradizionale assimilazione di tutto il pubblico impiego agli statali. Tuttavia va riconosciuto che questa volta le aziende sanitarie escono piuttosto bene dal contesto normativo: a esempio la norma sulla mobilità e l’espresso riconoscimento dei contratti a tempo determinato per la dirigenza Pta costituiscono un sicuro riscontro della peculiarità della sanità.
Età, mobilità e ricambio: i tre argomenti chiave. Dal testo del decreto legge possiamo enucleare tre argomenti di grande e diretto interesse per le aziende sanitarie: i trattenimenti in servizio, la mobilità, gli incarichi dopo la cessazione del rapporto. Iniziamo dall’eliminazione del trattenimento in servizio (articolo 1). Al di là del titolo un po’ ridondante sul ricambio generazionale – se l’età massima per la partecipazione ai concorsi fosse riportata a 35 anni sarebbe così, altrimenti la finalizzazione resta un mero auspicio – c’è solo da sottolineare che in realtà da quasi sei anni il biennio di trattenimento non ha più un grande rilievo perché da diritto potestativo è diventato una facoltà dell’amministrazione che, tra l’altro, avrebbe dovuto concederlo soltanto in casi eccezionali. Inoltre il trattenimento dal 2010 è considerare alla stregua di una nuova assunzione ricadendo in tal modo nei vincoli assunzionali. Però un punto della norma non convince affatto. Vengono abrogate tre specifiche disposizioni che disciplinavano il biennio di trattenimento ma viene ignorata quella che consente alla dirigenza sanitaria di rimanere fino al compimento dei 40 anni di servizio effettivo (articolo 22 della legge 183/2010).Gli estensori del decreto legge hanno dimostrato di conoscere le problematiche specifiche del Ssn (vedi in proposito la “rottamazione” dei primari di cui al comma 5 del medesimo articolo), quindi se l’obiettivo è quello del ricambio generazionale per quale motivo i medici dovrebbero – essi soli, a questo punto – poter rimanere in servizio fino a 70 anni? Questa scelta appare anche in controtendenza con l’ormai condivisa propensione a favorire l’occupazione dei giovani medici anche attraverso il divieto di proseguire il rapporto con il Ssn in altre forme (si vedano in proposito l’articolo 6 dello stesso decreto 90 e la recente interrogazione parlamentare sulle difficoltà di un reale ricambio).
Il secondo argomento è quello della mobilità (articolo 4) e qui forse si è persa una occasione. Nella riscrittura dell’articolo 30 del decreto 165 sono stati sostituiti i piimi due commi ma si potevano estendere le modifiche al comma I-bis eliminando l’obbligo di espletare la mobilità prima di bandire un nuovo concorso, norma che costituisce da anni un vero e proprio incubo per le aziende sanitarie. Il nuovo articolo 30 – pur con il limite cui si accennava – è saitto bene e finalmente sappiamo con chiarezza che la mobilità va effettuata con un bando «fissando preventivamente i criteri di scelta». Per le aziende sanitarie resta la facoltà di negare l’assenso al trasferimento e questo le salvaguarda dal rischio di tornare ai tempi del continuo esodo del personale sanitario dalle aziende soprattutto del Nord.
Non si parla più di cessione del contratto ma di «passaggio diretto», togliendo dunque l’impianto civilistico alla norma, confermato peraltro anche dal nuovo comma 2.2 che declina la nullità dei contratti collettivi in contrasto (quindi il preavviso in caso di nulla osta negativo). Altrettanto funzionale appare la nuova declaratoria di «unità produttiva» con la fissazione a 50 km del limite per i trasferimenti d’ufficio. Il chiarimento è rivolto alla corretta applicazione dell’articolo 2103 del Cc ma per identità terminologica dovrebbe poter valere anche per il trasferimento del dirigente sindacale ai sensi dell’articolo 22 dello Statuto dei lavoratori. Anche in questo caso le che per il comparto prevedevano il limite di 25 km – sono dichiarate nulle. Il comma 3 di questo art. 4 torna sul tema della tabella di equiparazione che si attende da quattro anni. Il Governo stringe i tempi e prevede che se non si realizza entro 120 giorni la procedura prevista dall’articolo 29-bis del decreto 165 (che implica il parere della Conferenza unificata e la consultazione delle Organizzazioni sindacali) il decreto sarà adottato direttamente dai ministeri interessati. La terza misura concerne una disciplina più rigorosa degli incarichi dopo la cessazione del rapporto. Viene in sostanza rafforzato il divieto già presente nella legge sulla spending review del 2012, lasciando in ogni caso in piedi gli incarichi in atto al 24 giugno.
I distacchi sindacali. Oltre a queste tre materie ci sono nel testo del decreto altri interessanti interventi. Il più rilevante – e fonte di polemiche – è senz’altro la riduzione dei permessi sindacali (articolo 7). Attualmente il monte di ore dedicato alle tre forme di prerogativa sindacale per il Ssn ammonta a 2.204.675 ore ogni anno e dovrà essere ridotto del 50% dal prossimo 1° settembre. Dalla decurtazione del 15% operata dal decreto Brunetta-Tremonti nel 2008 erano escluse autonomie locali e sanità che, al contrario, sono ora colpite come tutti gli altri comparti. Altra misura non bene accetta ai diretti interessati è quella sulle “probine” spettanti agli avvocati dipendenti (articolo 9).
Le spese compensative. Viene eliminata completamente la possibilità di intascare l’onorario fattispecie che comunque non riguardava gli avvocati delle Asl per il chiaro disposto dell’alt. 64, comma 2, lettera a), del Ceni del 5 dicembre 1996 – mentre il compenso derivante da condanna alle spese della parte soccombente è limitato al 10%. Anche l’eliminazione degli incentivi alla progettazione (articolo 13) non avrà vita facile se ricordiamo le vicende dell’assurda altalena normativa che dal 2008 al 2010 portò la quota da riservare prima allo 0,5% per tornare poi al 2% con ben quattro modifiche in successione. Peraltro non è una eliminazione totale ma limitata al personale dirigenziale in nome dell’onnicomprensività del trattamento economico. Non si capisce però perché il principio non dovrebbe valere anche per gli avvocati, fermo restando che appare irreale che in una azienda sanitaria un geometra possa percepire gli incentivi e il suo ingegnere dirigente no. Interessante è anche la norma sulle liti temerarie (articolo 41) che dovrebbe essere estesa anche al contenzioso del lavoro. Gli articoli 19 e 31 si occupano dell’Anac, il primo prevedendo il tanto annunciato rafforzamento dell’Autorità e il secondo stabilendo che le segnalazioni di illecito da parte del whistleblower possono essere inoltrate anche all’Anac.
I dirigenti a tempo determinato. Un discorso a parte riguarda l’artìcolo 11 dedicato ai contratti dirigenziali a tempo determinato nelle autonomie locali. La problematica è peraltro molto complessa e il coordinamento tra l’articolo 19 del 165 e la norma specifica per il Ssn (l’articolo 15-septies del decreto 502/1992) comporta un approfondimento particolare che merita un commento separato.
Le criticità ignorate. Vorrei aggiungere, in conclusione, alcuni punti ignorati dal Governo sia nella lettera iniziale che nel decreto i quali, tuttavia, costituiscono una costante criticità per coloro che lavorano sul campo. Non si può che cominciare con i permessi della legge 104/1992. È bene però intendersi sulla questione, al fine di evitare fraintendimenti. La legge che tutela l’handicap grave è di alto e nobile profilo e risponde a finalità di importanza socia le. Però come tutte le grandi leggi di ampia e indistinta platea di destinatari, si presta ad abusi e interpretazioni a volte opportunistiche. Più volte il legislatore aveva tentato di intervenire razionalizzando alcuni aspetti: a esempio, nel 2010 si era tentato di non prevedere i permessi per i dirigenti o due anni dopo si provò a decurtare il 50% dei permessi riservando il regime pieno per parenti di 1° grado. Nel “collegato lavoro” (legge 183/2010) il Governo intervenne sui permessi ma il risultato sostanziale fu di rendere molto più facile l’abuso. Ebbene, è forse il caso che si ripensi alle misure di razionalizzazione mai attuate e, soprattutto, credo che sia fondamentale ripristinare le originarie condizioni della continuità, esclusività e convivenza prescritte per la fruizione dei permessi. Altra questione aperta che continua a costituire notevoli problemi negli ospedali è quella delle inidoneità temporanee del personale sanitario.
Ricordo che la legge di stabilità 2013 (articolo 1, comma 88, della legge 228/2012) aveva deciso una verifica straordinaria delle inidoneità temporanee del personale sanitario da attuare entro do dici mesi da parte dell’Inps, previa adozione di uno specifico decreto interministeriale. Del decreto non si è vista neanche una bozza e, ovviamente, della verifica non se ne è fatto nulla, con il risultato che decine di ospedali rischiano quotidianamente il blocco completo dei servizi per il crescente numero delle prescrizioni e limitazioni a carico del personale turnista.
E a proposito del “personale sanitario” sarebbe opportuno che la formulazione adottata dalla legge Balduzzi (articolo 4, comma 6, della legge 189/2012) per derogare alle norme generali sul tempo determinato (in particolare sul divieto di proroga dei contratti a termine) sia rivisitata. L’applicazione concreta della deroga Balduzzi è quanto di più disparato si possa immaginare. Se l’intenzione del legislatore è, come sembra, ormai orientata a considerare la locuzione «personale sanitario» del tutto equivalente a «personale del servizio sanitario nazionale», allora è bene dirlo esplicitamente perché dietro l’ambiguità e l’incertezza si celano molte insidie, non ultima quella del danno erariale in caso di interpretazione errata della norma sulle proroghe.
Concludo la breve disamina delle proposte con un modesto suggerimento che potrebbe portare un recupero di credibilità del sistema pubblico. La ormai famosissima legge 190/2012 ha dettato una fin troppo dettagliata disciplina per la prevenzione della corruzione e della illegalità. Sennonché le norme sul whistleblower, i decreti sulla trasparenza e sulle incompatibilità, lo stesso Codice di comportamento hanno come destinatari i dipendenti contrattualizzati cioè 3,2 milioni di soggetti sul totale di 3,5 che comprende anche il personale cosiddetto di diritto pubblico. Con la conseguenza che tutte le norme in questione non si applicano magistrati, avvocati dello Stato, militari e forze dell’ordine, carriera diplomatica e prefettizia, vigili del fuoco, docenti universitari. Nei confronti di queste categorie ci sono solo auspici e inviti a una autoregolamentazione analoga.
Per comprendere l’anomalia basti pensare alla situazione di profondo disagio che regna in tutte le aziende ospedaliero-universitarie laddove soggetti che lavorano fianco a fianco sono destinatari di regolamentazioni e norme comportamentali molto diverse: come si può pensare che due capi dipartimento – uno ospedaliera e l’altro universitario, del tutto assimilati ai fini dell’assistenza e, soprattutto, della retribuzione – siano trattati in modo difforme riguardo ad aspetti così delicati come incompatibilità, incarichi extraistituzionali, comportamenti illeciti, prevenzione della illegalità? Credo che se il Governo inserisse nel Ddl di riforma una estensione completa e incondizionata della normativa in questione anche al personale in regime di diritto pubblico, non si potrebbe che considerarlo un atto di grande trasparenza ed equità. E già che ci siamo la normativa in questione dovrebbe essere in blocco estesa obbligatoriamente a chiunque abbia un incarico politico, elettivo o no, per evitare che un ex ministro dell’economia possa godere di un vincolo meno rigoroso di un qualunque provveditore di una amministrazione pubblica (mi riferisco all’applicazione del cosiddetto pantouflage di cui all’articolo 53, comma 16-ter del decreto 165).
Stefano Simonetti – Il Sole 24 Ore sanità (estratto dall’articolo originale) – 8 luglio 2014