Via libera al «contratto d’inserimento a tutele crescenti», riservato ai giovani fino a 35 anni e alle persone con più di 50: i loro datori potranno per tre anni licenziarli senza vincoli, ma se li confermeranno riceveranno un bonus fiscale. Sì anche a due significative modifiche dello Statuto: le aziende inoltre potranno «demansionare» i loro dipendenti (cioè ridurre la loro mansione, tagliando anche il salario) e potranno usare le tecnologie per controllare le loro prestazioni. Questi i termini generali che potrebbero comporre il futuro Jobs Act, ovvero la delega sulla riforma del mercato del lavoro ora all’esame del Senato. No, invece, allo smantellamento dell’articolo 18, niente revisione globale dello Statuto dei Lavoratori. E Cgil e Fiom tornano in piazza.
Lavoro, via alla riforma. L’articolo 18 resta in piedi. Poletti prove le ultime mediazioni. Ma il governo concede poco al Ncd
Roberto Giovannini. Niente smantellamento dell’articolo 18, niente revisione globale dello Statuto dei Lavoratori. Via libera al «contratto d’inserimento a tutele crescenti», riservato ai giovani fino a 35 anni e alle persone con più di 50 anni: i loro datori potranno per tre anni licenziarli senza vincoli, ma se li confermeranno riceveranno un bonus fiscale. Sì anche a due significative modifiche dello Statuto: le aziende potranno «demansionare» i loro dipendenti (cioè ridurre la loro mansione, tagliando anche il salario), e potranno usare le tecnologie per controllare la prestazione dei lavoratori. Potrebbero essere questi i termini generali – il condizionale è d’obbligo – per il futuro Jobs Act, ovvero la delega sulla riforma del mercato del lavoro ora all’esame del Senato. I sondaggi di queste ore del ministro del Lavoro Giuliano Poletti sembrano far emergere una soluzione «leggera» per le nuove regole del mercato del lavoro. Scontentando il Nuovo Centrodestra, che punta su una drastica revisione dello Statuto dei Lavoratori e sull’abolizione dell’articolo 18 della legge 300. Ma assicurando una approvazione del provvedimento entro i tempi prefissati dal governo.
Per adesso di ufficiale non c’è nulla. Soprattutto, non c’è mai stata la decisiva riunione dei rappresentanti in Camera e Senato dei partiti di maggioranza, che dovrebbe sancire la soluzione definitiva per un provvedimento su cui il governo punta molto e che rischia di arenarsi sulla solita questione: i licenziamenti e lo Statuto. Su questo il Pd e il Nuovo Centrodestra hanno espresso esigenze difficilmente conciliabili, in qualche modo appellandosi al presidente del Consiglio Matteo Renzi. Che nel merito, in queste settimane, ha espresso posizioni anche molto diverse, pur valorizzando le molte novità contenute nella delega, come il varo di ammortizzatori sociali universali, che spesso vengono poco considerate rispetto al tema rovente dei licenziamenti.
«Confido che prevalga la posizione del Presidente del Consiglio – afferma il presidente della Commissione Lavoro del Senato Maurizio Sacconi, Ncd – noi chiediamo una delega di riforma innovativa dello Statuto dei Lavoratori». «Se vogliamo che la delega venga approvata entro i tempi stabiliti – gli replica Cesare Damiano, Pd, presidente della “Lavoro” a Montecitorio – non bisogna appesantirla con richieste non ricevibili, come l’abolizione dell’articolo 18 e la totale riscrittura dello Statuto».
Difficile mediare tra questi due ex-ministri del Lavoro che non sono d’accordo pressoché su nulla. A sentire Filippo Taddei, responsabile economico del Pd e persona vicina al premier, la scelta di Renzi si baserà soprattutto sull’esigenza di fare presto. «Stiamo spingendo al massimo – spiega Taddei – il nostro obiettivo è quello di “incastrare” l’esame del Jobs Act nei due rami del Parlamento con la discussione della Legge di Stabilità». E per essere veloci bisogna evitare complicazioni eccessive. «Alcuni vorrebbero affermarsi politicamente con ampie revisioni dello Statuto dei Lavoratori nella delega – continua Taddei, parlando chiaramente di Ncd – che sono però tecnicamente impossibili».
Ecco dunque il prevalere di una strategia prudente per la delega. Che – ricordiamo – stabilisce solo le linee generali, i paletti, della (ennesima) riforma delle regole del mercato del lavoro. Una volta approvata la legge dal Parlamento, al governo spetterà il compito di definire i dettagli delle nuove regole rispettando quei paletti. Se prevarrà la linea della «riforma veloce e leggera», sul tema dei licenziamenti e dei nuovi contratti dunque non ci sarà l’abolizione dell’art. 18, ma la nascita di un nuovo «contratto d’inserimento a tutele crescenti» riservato agli under 35 e agli over 50. Prevederebbe la licenziabilità per i tre anni di «prova» e un salario lievemente ridotto. Ma se l’azienda confermerà il lavoratore avrà uno sgravio Irap o contributivo che lo renderà il contratto più conveniente in assoluto. Per andare incontro alle richieste di imprese e Ncd, si aprirà al possibile controllo a distanza dei lavoratori da parte delle imprese. E sarà consentito il demansionamento, limitando però la perdita salariale per il lavoratore. Al Pd piacerebbe inserire anche una riforma delle regole della rappresentanza sindacale in azienda e la definizione di un compenso orario minimo per i lavoratori non contrattualizzati, ma è difficile. E – peraltro – Matteo Renzi potrebbe cambiare idea e stracciare il «quasi-accordo» sulla riforma. (La Stampa)
Ddl delega. Pressing per il Jobs Act, resta il nodo licenziamenti. Non solo articolo 18 ma riforma di sistema
Dopo una settimana di rinnovate pressioni per il varo in tempi rapidi della riforma del lavoro, l’iter del Ddl delega riparte dal nodo (ancora da sciogliere) sulle tutele in caso di licenziamento ingiustificato per i futuri contratti.
Le richieste per un passo avanti concreto su un provvedimento che è all’esame del Senato dal 3 aprile scorso sono giunte in via indiretta dalle autorità monetarie (prima con Draghi e poi con Visco), dal governoconle sollecitazioni del ministro Pier Carlo Padoan, dal presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi e ancor più esplicitamente dall’Ocse, cheha sollecitato un’approvazione rapida del Jobs Act e, soprattutto, una sua effettiva e ben monitorata attuazione.
Oggi è attesa una riunione dei capigruppo al Senato per decidere il calendario delle attività e giovedì mattina tornerà a riunirsi la commissione Lavoro. E il governoèpronto con l’ultimo emendamento, quello per la costituzione dell’Agenzia nazionale per le attività ispettive, che verrà presentato sempre giovedì in attesa del via libera della commissione Bilancio su tutti gli altri emendamenti accolti. L’obiettivo resta quello di un’approvazione veloce in Senato, una volta chiusa l’intesa sull’articolo 18 (in settimana potrebbe esserci un nuovo vertice politico) per arrivare al varo definitivo del Ddl entro fine anno. «Il problema non è l’articolo 18 masuperare il dibattito sull’articolo 18. La proposta del Pd è quella di avanzare una riforma complessiva del mercato del lavoro» ha rilanciato Filippo Taddei, responsabile economico del Pd. A proposito del contratto a tutele crescenti, nelle scorse settimane il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ha spiegato come l’obiettivo sia quello di renderlo «meno oneroso per l’impresa, alleggerendo il carico fiscale e contributivo». I centristi spingono, però, per l’abolizione dell’articolo 18 (limitandolo ai licenziamenti discriminatori) e la sua sostituzione con un indennizzo crescente con l’anzianità aziendale.
Intanto al ministero del Lavoro scatta questa settimana la riorganizzazione prevista da uno degli ultimi Dpcmlasciati in eredità dal precedente Governo (è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale il 25 agosto). Diverse le novità, a partire dalla costituzione di una nuovadirezione generale che accorpa la gestione dei sistemi informativi e tecnologici e la comunicazione, mentre viene sdoppiata la direzione per le Politiche attive e passive con due responsabili apicali. Termina l’interim sulle Attività ispettive con l’assegnazione di un nuovo responsabile dopola gestione di questi mesi affidata al segretario generale (Paolo Pennesi, il quale non cambierà ufficio) mentre l’avvicendamento più importante è tra i due direttori generali che finora avevano gestito la Dg Previdenza e la Dg Personale. Il riordino è pernecessità provvisorio, in attesa del varo del ddl delega, visto che il testo prevede l’istituzione di un’Agenzia nazionale per l’impiego cui si aggiungerà, come detto, l’accorpamento in un’altra agenzia nazionale delle attività ispettive di Lavoro, Inps e Inail. Due provvedimenti che, una volta adottati, comporteranno una nuova riorganizzazione anche per i vertici del ministero. (Il Sole 24 Ore)
9 settembre 2014