Ci è voluto un anno ma ora il governo può dire che il Jobs Act è completato. Il consiglio dei ministri ha approvato gli ultimi decreti attuativi della riforma del mercato del lavoro, che ora vanno in Parlamento per l’ultimo sì, peraltro non vincolante. Cambia la cassa integrazione, cambiano le regole per ottenere il sussidio di disoccupazione e per conciliare lavoro e famiglia. Oggi il congedo di maternità (o di paternità) permette di restare a casa fino a quando il bambino non ha compiuto tre anni al 30 per cento della retribuzione. Da domani questa possibilità sarà estesa fino ai sei anni. Non solo: il congedo parentale potrà essere trasformato in un part time al 50 per cento. Il congedo non retribuito, finora concesso fino agli otto anni, potrà essere esteso fino al compimento dei 12 anni. È forse il decreto più trascurato tra quelli legati alla delega del Jobs act. Ma alla fine anche le norme per agevolare la conciliazione tra famiglia e lavoro ieri hanno avuto il via libera del Consiglio dei ministri.
Ora manca solo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. A breve, quindi, madri e padri potranno sfruttare le nuove opportunità. Con un limite: le misure sono finanziate per il 2015, quindi soltanto per sei mesi.
L’innovazione maggiore riguarda la possibilità di sfruttare il congedo facoltativo di sei mesi non più fino agli otto anni del bambino ma fino ai 12. Il tutto con una retribuzione al 30% dello stipendio fino al sesto anno del figlio invece che fino al terzo anno. Altro punto qualificante è l’introduzione di un congedo di tre mesi per le donne vittime di violenza di genere e inserite in percorsi di protezione.
L’articolo 7 del decreto definisce meglio e amplia il congedo a ore. In pratica la lavoratrice ha la possibilità di costruirsi un part time su misura nel periodo del rientro dalla maternità spalmando in modo orizzontale il congedo parentale sul proprio orario di lavoro.
In realtà, in materia di orario di lavoro di chi rientra dalla maternità, ieri è stata varata anche un’altra misura. Contenuta però nell’altro decreto attuativo della delega sul Jobs act, quello sulle forme contrattuali. In pratica, il lavoratore può chiedere il part time al posto del congedo parentale per un periodo corrispondente al congedo parentale stesso.
Per quanto riguarda i lavoratori autonomi, grazie al nuovo decreto gli iscritti alla gestione separata acquistano il diritto all’indennità di maternità anche in caso di mancato versamento dei contributi previdenziali da parte del committente. Ma questi lavoratori speravano ben altro. «Oggi una coppia di dipendenti può contare su 11 mesi di assenza dal lavoro in caso di nascita di un figlio. Gli iscritti alla gestione separata devono accontentarsi di tre mesi che può prendere solo la mamma», lamenta Anna Soru, presidente di Acta, associazione dei professionisti del terziario avanzato.
Nei mesi scorsi la bozza del decreto aveva sollevato le obiezioni di chi riteneva necessario un impianto in grado di andare oltre il testo unico sulla maternità del 2001. «Il decreto sarà rifinanziato poi di anno in anno. E viene stimolata la conciliazione tramite i contratti collettivi», fa notare Giovanna Martelli, consigliera del premier per le Pari opportunità. C’è poi la questione del linguaggio e dell’uso di termini sempre al maschile (lavoratore sia per le donne che per gli uomini). «Stiamo intervenendo – annuncia Martelli – si è creato un gruppo di lavoro ad hoc. Entro l’anno produrremo un manuale sul linguaggio per la pubblica amministrazione».
La Stampa e Il Corriere della Sera – 12 giugno 2015