Roberto Giovannini. La possibilità di andare in pensione in modo «flessibile»? Se ne riparlerà a febbraio. Per ragioni tecniche, vista la complessità dell’intervento allo studio, ma anche per massimizzare l’effetto di consenso a favore del governo. «Non abbiamo ancora trovato la quadra sui numeri – ha detto il premier Matteo Renzi a “Che tempo che fa” – preferisco rinviare questa misura importante al 2016, ed essere sicuro che tutto sia fatto nel modo giusto e dare certezze ai lavoratori». A pochi giorni dal varo della Legge di Stabilità il presidente del Consiglio ha dato ragione agli esperti dei ministeri economici – dove oggi riprenderanno i lavori di dettaglio per la manovra – che suggerivano di affrontare la partita della «flessibilità previdenziale» in un secondo momento, a inizio 2016. Anche perché dopo gli ultimi interventi e annunci dello stesso presidente del Consiglio, la manovra sta lievitando nelle dimensioni complessive: sfiora quasi i 30 miliardi di euro.
Si tratta di una cifra molto importante, e che rischia di metterci in difficoltà con Bruxelles.
Le cifre
Il conto è presto fatto: ci sono i 16,8 miliardi necessari per «neutralizzare» le clausole di salvaguardia degli anni passati, ci sono i 5 miliardi dell’irrinunciabile taglio generalizzato della Tasi e dell’Imu, e poi ci sono le nuove misure. Considerando quelle annunciate da Renzi negli ultimi giorni (il bonus per i bambini poveri, il maxi-ammortamento per chi investe nella propria impresa, l’anticipo dell’intervento di taglio dell’Ires sui profitti d’impresa) si arriva quasi a 30 miliardi. Il che rappresenta un rapporto deficit/Pil del 2,4%; ma a suo tempo l’Italia aveva promesso di raggiungere il 2,2%, e questa differenza va o recuperata o fatta digerire alla Commissione Ue.
Un quadro complessivo che suggerisce prudenza rispetto a un altro tema importante: quello della flessibilità previdenziale, ovvero della possibilità di consentire – in cambio di una penalizzazione – a chi è vicino all’età di pensionamento di smettere di lavorare. Sarebbe un’opzione che risolverebbe i problemi di moltissimi italiani: gli «esodati», ma anche tutti coloro che si trovano in età avanzata, vedono lontano il traguardo della pensione, e fanno fatica a continuare a lavorare dopo la riforma Fornero.
Altrettanto interessati sono gli imprenditori: potrebbero liberarsi di manodopera che considerano «decotta», che percepisce retribuzioni più elevate e gode di tutele migliori, e sostituirli con giovani più pronti e meno costosi.
Il problema è ben noto: il costo. Per aggirarlo, gli esperti del governo hanno congegnato diverse soluzioni tecniche basate sul principio dell’anticipo, a carico dei diretti interessati (il lavoratore che se ne vuole andare e l’impresa che vuole che se ne vada). Trovare una soluzione relativamente soddisfacente non è un compito impossibile, spiegano nei ministeri: ad esempio coinvolgendo il sistema bancario.
Renzi è ben consapevole che trovare una soluzione definitiva a questo problema sarebbe un colpo da maestro. Si chiuderebbe per sempre il caso degli esodati, si farebbero felici imprenditori e lavoratori ultracinquantenni, si raccoglierebbero ricche messi di consensi e voti. Però per mettere a punto il meccanismo, soddisfacendo insieme la Ragioneria, gli imprenditori e i lavoratori, serve altro tempo e molto lavoro. E ieri il premier ha sciolto le riserve: se ne parlerà con calma nella prima metà del 2016. Un’operazione intelligente sul piano politico: di qui a fine anno si batterà la grancassa per il taglio delle tasse sulla casa, subito dopo si potrà passerà alla riforma della riforma Fornero.
La Stampa – 12 ottobre 2015