Le Regioni cercano una scappatoia per evitare lo stop Ue ai turni massacranti dei medici in corsia che scatta dal 25 novembre. A partire da quel giorno le regole Ue – finora disapplicate in Italia – prevedono 11 ore di riposo obbligatorio al giorno e un tetto massimo di 48 ore di lavoro settimanali. Diritti che nella gran parte degli ospedali, con organici ridotti all’osso dopo anni di blocco del turnover, somigliano più a un sogno. Per dribblare l’appuntamento le Regioni stanno tentando di strappare al Governo una mini-proroga di un paio di mesi e hanno inviato all’Aran un atto di indirizzo che propone nuove deroghe. Intanto i sindacati della dirigenza medica sono stati convocati dall’Agenzia il 10 novembre. L’obiettivo è un accordo con i camici bianchi per arrivare a un Contratto collettivo sul delicatissimo tema. Ora la parola passa ai sindacati. Ma i medici non ci stanno affatto.
Tra i desiderata delle Regioni, l’ipotesi di consentire riposi inferiori alle 11 ore (in presenza di eventi eccezionali e non prevedibili o di assenze improvvise) e la possibilità di prevedere, nei turni mattina-notte, la presenza del medico anche precedentemente all’inizio del servizio di guardia notturna. A condizione di garantire allo stesso medico almeno 8 ore (e non 11) consecutive di riposo tra i due periodi di attività.
Per le Regioni andranno inoltre individuati gli istituti esclusi dalla definizione e dal computo dell’orario di lavoro, come corsi di formazione, libera professione. E sul tetto massimo delle 48 ore di lavoro settimanale (da calcolare come media su 4 mesi) indicano la possibilità di estendere il periodo di riferimento fino a 12 mesi. Insomma una nuova deregulation. Che i sindacati si preparano a respingere al mittente: «Quello che le Regioni propongono – sottolinea Carlo Palermo, vicesegretario Anaao Assomed – lascia intravvedere un immenso contenzioso. L’unica soluzione è che il Governo intervenga come con la scuola, ripristinando le adeguate dotazioni degli organici negli ospedali». Sulla stessa linea Riccardo Cassi, presidente Cimo: «Si facciano norme che garantiscano davvero i riposi, ma davvero applicate. Abbiamo dichiarato uno sciopero il 16 dicembre: se non cambia nulla porteremo in piazza anche questo tema».
I desiderata delle Regioni sulla difficile partita degli orari di lavoro in sanità sono sul tavolo dell’Aran e saranno la base di discussione per l’incontro con i sindacati previsto per il prossimo 10 novembre. L’atto di indirizzo del Comitato di settore Regioni-Sanità per l’attuazione della Legge europea 2013-bis è stato inviato ieri dal presidente Massimo Garavaglia ai ministri per la Semplificazione e la Pubblica amministrazione Marianna Madia, alla ministra della Salute Beatrice Lorenzin e al presidente Aran Sergio Gasparrini.
Nell’Atto di indirizzo delle Regioni si considera tra l’altro l’ipotesi di consentire riposi inferiori alle 11 ore (per esempio in presenza di eventi eccezionali e non prevedibili o di assenze improvvise) e la possibilità di prevedere, nei turni mattina-notte, la presenza del medico anche precedentemente all’inizio del servizio di guardia notturna a condizione di garantire allo stesso dirigente almeno otto ore consecutive di riposo tra i due periodi di attività.
Andranno inoltre individuati gli istituti esclusi dalla definizione e dal computo dell’orario di lavoro (per esempio corsi di formazione, attività volontaristiche, libera professione). E sul tetto massimo delle 48 ore di lavoro settimanale (che si dovrebbe calcolare come media su 4 mesi) le direttive indicano la possibilità di espandere il periodo di riferimento fino a 12 mesi, per ragioni obiettive, tecniche o inerenti l’organizzazione del lavoro (carenza di personale, necessità di garantire la continuità assistenziale). Ora la parola passa ai sindacati.
Il Sole 24 Ore – 7 novembre 2015