Alla fine Roberto Speranza succede a se stesso alla guida della Salute. Una scelta di continuità nella linea del rigore del quale il leader di Leu è stato paladino sin da quando l’epidemia ha fatto capolino in quel di Codogno. Lucano ma romanizzato al punto di essere da anni abbonato all’As Roma insieme a uno dei due figli, Speranza si è sempre nutrito di pane e politica. Già a gennaio, quando le immagini di Wuhan lasciavano presagire il peggio, non ha esitato ad affidarsi ai tecnici, la task foce prima, il Cts poi, per prende decisioni che richiedevano competenze scientifiche. E quando i tecnici hanno tentennato non si è tirato indietro nel sostenere la linea dura. Con la riconferma è difficile che il governo Draghi si discosti dalla linea di rigore nella lotta al virus.
L’uomo della continuità nella lotta al Covid ma anche l’uomo che, da politico puro, ha affrontato con grande senso dell’istituzione la guida del ministero alla Salute. Probabilmente ci sono queste caratteristiche dietro la scelta di Mario Draghi di confermare Roberto Speranza, lucano di Potenza. Il segretario di Articolo Uno ha 42 anni e due figli piccoli, che in questo anno e quattro mesi alla guida della sanità ha frequentato molto poco (rammaricandosene). Del resto si è trovato davanti una sfida enorme e inedita, che ha affrontato professando in tutti i contesti massima cautela. Speranza è sempre stato per la linea dura, quando si è trattato di decidere su lockdown, chiusure, riduzioni di attività. Ha sempre parlato chiaro riguardo ai rischi legati al virus e alla necessità di rinunciare ad alcune libertà per ridurre i contagi e proteggere la popolazione più fragile, evitando anche di far travolgere il sistema sanitario. Ha cercato di lasciare lo spazio ai consulenti suoi e del governo, in primis il Cts, quando si è trattato di prendere decisioni tecniche e ha quasi sempre retto di fronte alle proteste di chi chiedeva una maggiore elasticità e più aperture, sia da dentro il governo, che dalle Regioni.
Speranza all’inizio della pandemia ha lottato per avere subito fondi per l’assunzione di personale che coprisse le carenze degli organici, strutturali in Italia. Ha cercato di portare la sanità al centro delle politiche economiche, per aumentare i finanziamenti destinati a un sistema sfiancato da tagli e pandemia, ad esempio la quota del Recovery fund. Sempre il suo senso delle istituzioni lo ha portato a dialogare con i governatori, anche di centrodestra (ha un ottimo rapporto con Luca Zaia), per organizzare insieme la lotta al Covid. Certe volte, forse, ha troppo evitato lo scontro con gli amministratori locali, che possono pesare molto in un sistema sanitario che anche nell’emergenza coronavirus ha dimostrato, a giudizio di tanti, di soffrire di troppo federalismo.
L’autonomia ha portato i vari territori a rispondere in modo diverso all’emergenze, ad esempio di recente per quanto riguarda le vaccinazioni. E proprio la grande campagna vaccinale che aspetta l’Italia è la sfida più grande che dovrà affrontare Speranza in questo suo secondo mandato. Di dosi ne arrivano ancora poche ma è necessario che l’Italia sia pronta per quando ci saranno e bisognerà somministrare i vaccini a centinaia di migliaia di persone ogni giorno. Ora c’è da uscire dall’emergenza, della ricostruzione probabilmente si occuperanno altri. (Informazioni tratte da La Stampa e Repubblica)