La partita sui tagli ai ministeri è entrata nel vivo. Con i dicasteri che, anche se non in toto, frenano di fronte alle nuove ipotesi di spending review. Dati ufficiali non ne circolano. Ma al momento i tagli a carico delle amministrazioni centrali non raggiungerebbero quota 1 miliardo. Anche se il commissario per la spending review, Yoram Gutgeld, continua nel suo pressing.
Anche perché l’obiettivo resta quello di non allontanarsi troppo da quell’obiettivo dei 10 miliardi complessivi per il 2016 dalla revisione della spesa indicato per il 2016 dal Def di aprile. Un obiettivo rivisto al ribasso perché come si afferma nella recente Nota di aggiornamento del Def la nuova spending sarà più graduale rispetto a quanto immaginato originariamente anche per evitare il rischio di ricadute recessive. Ma se il contributo dei ministeri si rivelerà limitato diventerà difficile allestire una revisione della spesa complessiva da almeno 7-8 miliardi visto che anche l’intervento sulle tax expenditures è destinato ad assumere proporzioni contenute se non addirittura ad essere rinviato.
Lo scorso anno fu Matteo Renzi in persona a imporre la regola del 3% per obbligare ogni ministro a fare la sua parte. Una regola che qualcuno vorrebbe che venisse rispolverata anche quest’anno. Ma, almeno a tutt’oggi, la rotta resta quella di un’operazione da realizzare agendo su tre leve: potatura delle cosiddette spese per missioni, individuazione delle autorizzazioni di spesa anche micro da considerare superflue, ricaduta del processo di centralizzazione degli acquisti.
Proprio il nuovo meccanismo di centralizzazione degli acquisti modellato su sole 34 stazioni appaltanti con Consip perno centrale, dovrebbe garantire direttamente per il 2016 risparmi per 2-2,5 miliardi. Altri 2-2,5 miliardi dovrebbero arrivare dalla sanità. In tutto da 4 ai 5 miliardi, ai quali si dovrebbero aggiungere minori spese per almeno altri 1,5-2 miliardi dai ministeri (per ora sotto quota 1 miliardo) e revisione tax expenditures. Che però potrebbe essere congelata o limitata a un intervento da poche centinaia di milioni. Fino ad ora la dote garantita dalla nuova revisione della spesa oscillerebbe attorno ai 6 miliardi ma con buone possibilità di arrivare a 7-8 miliardi.
Alcune risorse, ma non particolarmente significative, dovrebbero arrivare dal piano di razionalizzazione degli immobili pubblici e dal nuovo intervento su invalidità e interventi di tipo assistenziale.
C’è poi tutto il capitolo dell’attuazione della riforma Pa. Il Governo sta ancora valutando se inserire direttamente nella legge di stabilità alcune delle misure su partecipate, enti inutili e servizi pubblici locali che dovrebbero diventare operative con i decreti attuativi della legge Madia. Sulle partecipate scatterà per le amministrazioni pubbliche l’obbligo di compiere una ricognizione entro tre mesi dall’entrata in vigore delle nuove misure con il piano di razionalizzazione che partirà dalle cosiddette scatole vuote e dallo stop alle partecipazioni inferiori al 10 per cento. Dovrebbe poi nascere un’apposita struttura di vigilanza presso la presidenza del Consiglio con la possibilità di effettuare verifiche a sorpresa anche con il supporto della Gdf. E dovrebbe scattare il vincolo dei costi standard per le società che si occupano di servizi pubblici locali. Un intervento quest’ultimo che potrebbe essere assorbito dalla manovra.
M.Rog. – Il Sole 24 Ore – 1 ottobre 2015