Vietato respingere le istanze rivolte alle pubbliche amministrazioni, se inviate via mail alla posta elettronica certificata indicata nei siti istituzionali. L’articolo 1, comma 29, della legge 190/2012, meglio nota come legge anticorruzione, dà una spinta estremamente decisa verso la semplificazione dei rapporti e dei contatti tra cittadini e imprese, da una parte, e amministrazioni dall’altra, puntando sulla telematica.
La norma dispone che ogni amministrazione pubblica deve rendere noto, tramite il proprio sito web istituzionale, almeno un indirizzo di posta elettronica certificata, al quale il cittadino potrà trasmettere istanze ai sensi dell’articolo 38 del dpr 445/2000 e ricevere informazioni circa i provvedimenti e i procedimenti amministrativi che lo riguardano. Per un verso, si introduce un sistema di relazioni semplici tra amministrazione e cittadino. Chi non disponga, ad esempio, di strumentazioni idonee per navigare nel sito ed autenticarsi per avvalersi degli eventuali servizi online offerti, anche con un semplice telefonino che si connetta al web può comunque chiedere informazioni sull’andamento delle pratiche di proprio interesse, avendo il diritto a ottenere una risposta, sol che rivolga la mail alla posta elettronica
certificata indicata dall’amministrazione. Soprattutto, la disposizione afferma un principio: le amministrazioni non possono pretendere la forma cartacea o un documento informatico sottoscritto con firma digitale, per avviare i procedimenti amministrativi. L’istanza di parte deve essere comunque accettata e costituisce presupposto per dare il via all’iter amministrativo. Le amministrazioni hanno, di conseguenza, l’obbligo di dotarsi di almPnn una casella di posta elettronica certificata, che è il punto di snodo per la ricezione delle istanze. I sistemi di protocollazione informatica dovranno, poi, assicurare lo smistamento delle mail provenienti da cittadini e imprese verso gli uffici responsabili delle istruttorie.
Quanto previsto dalla legge anticorruzione è estremamente utile per la semplificazione dei rapporti tra amministrazione ed amministrati, ma in parte incompleto. Non si obbliga, infatti, il mittente a utilizzare, a sua volta, una casella di Pec per inviare l’istanza. Manca, così, la possibilità di attribuire certezza giuridica piena sulla provenienza, assicurata, invece, dallo scambio di informazioni Pec su Pec. A questo proposito, allora, non pare né inopportuno, né in contrasto con lo spirito della norma, richiedere che l’istanza inviata tramite mail sia accompagnata dalla scansione di un documento di identità o, quanto meno, dall’indicazione del numero e della data di
scadenza, così che sia possibile ricondurre il documento inviato via mail alla sfera giuridica del mittente. Tale precisazione potrebbe essere contenuta nel regolamento sui procedimenti amministrativi, che, in alternativa, visto che non è semplice per tutti scannerizzare il documento di identità o individuare esattamente i dati identificativi del documento stesso, potrebbe prevedere l’obbligo del rilascio di un recapito telefonico, per ricontattare il mittente, a fini di verifica dell’effettiva provenienza. Per quanto riguarda le imprese, poiché esse sono obbligate a dotarsi di una casella di Pec, il problema non dovrebbe porsi: si dovrebbe dare per scontato che le loro istanze siano trasmesse tramite posta elettronica certificata. Resta il problema del bollo, qualora, come spesso accade, l’istanza debba scontare l’imposta. Occorre che il portale dell’amministrazione indichi al richiedente come inserire i dati per l’assoluzione in modo virtuale, comunicando il numero identificativo (seriale) della marca da bollo utilizzata, specificando che essa deve essere annullata e conservata.
ItaliaOggi – 15 febbraio 2013