Secondo i giudici, la deviazione è stata arbitraria e slegata dall’ottica lavorativa. Per questo motivo, l’incidente stradale, di cui è rimasta vittima la donna, non può essere inquadrato come infortunio in itinere.
E, di conseguenza, è legittimo il licenziamento comunicato dall’azienda per superamento del periodo di comporto. Lo afferma la Cassazione con la sentenza 1458/13. La dipendente di una società, obbligata a casa dai postumi di un incidente stradale, riceve dall’azienda la lettera di licenziamento per «superamento del periodo di comporto». Ma è un’azione legittima? Assolutamente no, secondo la donna, perché l’incidente stradale si è verificata mentre si recava a lavoro, da casa. Questa visione, però, non regge, secondo i giudici, sia di primo che di secondo grado: l’incidente non può considerarsi «infortunio in itinere, non essendo avvenuto nell’itinerario che la dipendente avrebbe dovuto seguire per raggiungere il posto dove prestare la propria attività lavorativa, avendo compiuto, la lavoratrice, una deviazione non giustificata dal percorso che avrebbe dovuto compiere per l’espletamento dell’incarico conferitole». Quindi, nessuna applicabilità del «diritto del lavoratore alla conservazione del posto fino alla piena guarigione clinica», e quindi licenziamento legittimo. La donna fa ricorso in Cassazione, sostenendo la tesi che l’incidente stradale di cui è rimasta vittima è, comunque, da valutare come «infortunio avvenuto nell’ambito dell’attività lavorativa», non essendo possibile contestare a suo carico un «comportamento abnorme, volontario ed abnorme, tale da affrontare rischi diversi da quelli inerenti alla normale attività lavorativa». Più semplicemente si è trattato di una deviazione nel tragitto casa-lavoro. Ma è proprio il ‘peso’ dato a questa deviazione a risultare decisivo. Per i giudici di Cassazione, difatti, la «variazione del percorso» è da inquadrare come «rischio elettivo», perché «dovuta a libera scelta del lavoratore». E ciò comporta la «configurabilità di infortunio sul lavoro ai fini del periodo di comporto, a seconda delle caratteristiche della deviazione» alla stregua di due condizioni decisive, ossia «dimensioni temporali e aggravamento del rischio». Più precisamente, è «rischio elettivo la deviazione, puramente arbitraria ed animata da finalità personali, dalle normali modalità lavorative, che comporta rischi diversi da quelli inerenti le usuali modalità di esecuzione della prestazione». In questa ottica, è da confermare, secondo i giudici di Cassazione, la valutazione compiuta in Tribunale e in Corte d’Appello sulla modifica dell’itinerario da parte della dipendente: si è trattato di un «atto volontario ed arbitrario, ossia illogico ed estraneo alle finalità produttive». Di conseguenza, è esclusa la possibilità di considerare l’incidente stradale di cui è rimasta vittima la donna come infortunio in itinere: per questo, il licenziamento, per superamento del periodo di comporto, deciso dall’azienda è legittimo.