2018: è la data entro cui tutti i prodotti (biologici o locali, o integrali) di Whole Foodss, saranno etichettati indicando la possibile presenza di OGM. La Whole Foods è una catena di 335 supermercati che vendono alimenti locali (con tanto di mappa geo-referenzata dei produttori), biologici e naturali. Accade così che la filiera alimentare USA si stia spaccando.
Dopo che lo scorso settembre 2012 Wal Mart si era alleata con Monsanto per la vendita di mais GM BT, ora Whole Foods risponde, in quella che sembra una mossa altamente commerciale (si è creato spazio per una domanda alternativa), ma che in realtà nasconde anche profondi aspetti di civismo e partecipazione attiva dei cittadini alle modalità di produzione lungo la filiera alimentare. Non a caso, in causa non c’è solo il metodo di produzione: i consumatori USA cercano sempre di più rassicurazioni su aspetti relativi alla produzione locale, ad un equo compenso per i produttori, al benessere animale. Aspetti che trascendono il regime biologico USA, e che segnalano semmai l’emergere di un nuovo quadro di valori complementari.
In ogni caso quella di Whole Foods rimane una mossa importante, nell’attuale scenario USA: e si accompagna all’annuncio- sempre di questi giorni- di non commercializzare salmone GM qualora dovesse essere autorizzato dalla FDA.
I precedenti
Lo scorso 12 novembre lo stato della California aveva tentato di imporre l’obbligo di indicazione delle varietà GM in etichetta (entro la cosiddetta Proposizione 37), ora l’iniziativa di un attore cruciale sulla scena USA, che può portare ad una evoluzione dell’ambiente normativo e più in generale dell’attenzione dei cittadini. Se l’iniziativa Californiana era fallita in ragione degli investimenti economici notevoli – 44 milioni di dollari sono stati spesi per fare lobby sul “no”, contro gli appena 7 raccolti dai fautori del “si”, – quella analoga di Washington è in attesa di una evoluzione.
Un aspetto balzato agli occhi dell’Huffington Post è poi la correlazione tra sedi della Whole Foods a Stati pro-Obama nel 2008: la correlazione porta a dire che l’89% delle superfici di vendita della catena sono in contee Obamiane. Insomma, “food Democrats”.
Biologico o OGM? L’antitesi comincia a camminare anche in USA
Nel frattempo ci si è messa Whole Foods, la più grande catena USA di prodotti biologici e integrali, che ha “imposto” ai propri fornitori l’etichettatura in questione. Una mossa importante, e che sancisce come i consumatori abbiano il diritto di sapere cosa comprano, soprattutto se intendono acquistare alimenti biologici, che possono giustamente essere percepiti come in antitesi rispetto a quelli OGM. Non a caso in Europa in base alla normativa in essere sul biologico, vi è una incompatibilità fondamentale. Nel Regolamento 834/2007 della Commissione Europea, infatti, gli alimenti biologici
“Gli organismi geneticamente modificati (OGM) e i prodotti derivati od ottenuti da OGM sono incompatibili con il concetto di produzione biologica e con la percezione che i consumatori hanno dei prodotti biologici. Essi non dovrebbero quindi essere utilizzati nell’agricoltura biologica o nella trasformazione di prodotti biologici.” Tali aspetti sono suffragati dalla ricerca economica e più in genere, dalla cosiddetta consumers’ research.
Incompatibilità poi sancita al considerando (30),
“È vietato l’uso di OGM nella produzione biologica. A fini di chiarezza e di coerenza, occorre precludere la possibilità di etichettare come biologico un prodotto che deve essere etichettato come contenente OGM, costituito da OGM o derivato da OGM” (articolata normativamente dall’articolo 4 e dall’articolo 9)
Prossima tappa: stato di Washington
Dopo la raccolta di 350mila firme dei cittadini dello stato di Washingont, a novembre 2013 è poi atteso il voto circa la proposizione “Initiative 522 (I-522)” o “The People’s Right to Know Genetically Engineered Food Act (“Norma sul diritto delle persone a conoscere gli OGM”). Tale iniziativa prevede obbligo di etichettatura in maniera analoga a quello della Proposizione 37 californiana. Nel testo, si segnala tra le altre cose la preoccupazione di 260mila agricoltori, che temono per la propria produzione non GM in particolare in ragione dell’export del prodotto.
Ora vi sono 3 possibilità sul tavolo:
– il legislatore trasforma direttamente la richiesta in legge;
– lasciare il voto referendario di Novembre a decidere;
– proporre una alternativa, con un voto pubblico in anticipo rispetto a novembre.
Se è certo che la maggioranza dei cittadini USA (dal 75% al 93%) vuole etichettatura su OGM, non bisogna dimenticare la pressione di lobby che nel recente passato sono riuscite a mobilitare notevoli risorse ed energie in materia. Ma i tentativi vanno avanti, segno che il desiderio è radicato, diffuso e difficilmente potrà essere fermato per sempre
sicurezzaalimentare.it – 27 marzo 2013