Marco Zatterin. Commissione Ue sull’orlo di una crisi di nervi. La direzione EcFin di Olli Rehn ha pubblicato il 22 ottobre sul suo sito un documento firmato dall’economista Jan in’t Veld nel quale, attraverso l’applicazione di un modello matematico, si arrivava a due conclusioni: le politiche di austerità hanno avuto un pesantissimo impatto sulla crescita dell’Eurozona; il rigore tedesco ha influenzato negativamente le altre economie.
Visti i primi pezzi sulla stampa specializzata, Bruxelles ha deciso di far sparire il testo per paura di possibili effetti negativi nel dibattito europeo. Salvo poi rimetterlo in circolazione quando ci è si è accorti che la toppa stava diventando peggiore del buco.
Il giochetto è stato svelato ed ha fornito legna per il fuoco della polemica contro l’eccessiva attenzione all’equilibrio dei conti riservata dall’Ue in questa stagione di doppia recessione. Posta una serie di premesse, il lavoro di in’t Veld (che rispecchia solo il suo punto di vista, precisa la Commissione) elabora un meccanismo di simulazione per l’attività di consolidamento nel 2011-2013. Il risultato è che «l’austerità coordinata dai paesi dell’Eurozona ha tagliato le gambe alla ripresa e approfondito la crisi».
L’Italia, si legge nel rapporto itinerante, ha messo in atto nel triennio uno sforzo di consolidamento da 3,95 punti di pil; nello stesso periodo, la perdita di crescita è stata di 4,9 punti. L’effetto è apparso grosso modo analogo in Francia (3,68 e 4,78 i due numeri), Germania (2,6 e 3,9) e Spagna (4,45 e 5,39). Si indica però che la spinta recessiva è destinata a riassorbirsi un po’ ovunque nel 2018, anno entro il quale – si ipotizza – i tagli dovrebbero aver scatenato anche degli effetti virtuosi.
E’ facile leggere nello studio un rifiuto delle politiche del rigore che l’Ue ha difeso dal 2008, quasi sempre su impulso dei falchi tedeschi e nordici. E’ una sfida al dogma che, a Bruxelles, devono aver pensato potesse generare nuova incertezza ed euroscetticimo. Solo in Italia, dice il rapporto, il rigore è costato tre punti di disoccupazione, 4,37 di consumi, 4,29 di investimenti. Ciò che non spiega è come staremmo se tutto ciò non fosse accaduto, ma tant’è.
La Commissione ha temuto l’autogol e agito di conseguenza, sino a incidere sulla sua stessa retorica. «Dobbiamo continuare il consolidamento, ma ci possiamo concentrare sulle misure per la crescita, in particolare sul Fisco», ha detto ieri Rehn. Non un marcia indietro. Semmai una sensibilità cambiata come era scontato che fosse.
La Stampa – 22 novembre 2013