Un mercato del lavoro con sempre più disoccupati, con retribuzioni che non crescono, che penalizza i giovani. Mentre aumentano le situazioni di difficoltà: la povertà assoluta colpisce il 6,8% delle famiglie e l’8% degli individui, il numero dei poveri è raddoppiato dal 2005 e triplicato nelle regioni del Nord (sono il 6,4%).
È il quadro che emerge dal Rapporto sulla coesione sociale presentato da Istat, Inps e ministero del Lavoro che mette in luce gli effetti drammatici della crisi che fa balzare ai livelli più alti registrati dal 1997, anno di inizio delle rilevazioni statistiche, il dato della povertà relativa: riguarda il 12,7% delle famiglie residenti (+1,6 punti tra il 2011 e il 2012) e il 15,8% degli individui (+2,2 punti). La condizione è peggiorata per le famiglie numerose, con figli, soprattutto se minori, residenti nel Mezzogiorno e per le famiglie in cui convivono più generazioni: fra queste ultime «una famiglia su tre è relativamente povera e una su cinque lo è in senso assoluto». Il rapporto denuncia che in Italia il sistema di trasferimenti sociali è «meno efficace nel contenere il rischio di povertà rispetto ad altre realtà nazionali del contesto europeo».
Quanto al mercato del lavoro, il rapporto cita tra l’altro il dato dei 2 milioni e 744mila disoccupati del 2012, pari a 636mila in più del 2011. Nel 2013 è continuato a diminuire il numero di lavoratori dipendenti occupati nel privato: sono circa 11 milioni 963mila occupati, pari il 2,60% in meno del 2012 (il dato riguarda i primi sei mesi), la diminuzione è particolarmente alta nelle Isole (-5,2%) e nel Sud (-4,0%). Più penalizzati sono i dipendenti con meno di 30 anni che tra il 2010 e il 2013 sono scesi dal 18,9% al 15,9%. Rispetto alla tipologia contrattuale i lavoratori dipendenti con contratto a tempo indeterminato nel 2013 sono diminuiti dell’1,3% rispetto al 2012 attestandosi a quota 10.352.343. Anche in questo caso il calo è più forte per gli under 30 (-9,4%). Nell’ultimo quadriennio il peso dei giovani rispetto al complesso dei lavoratori dipendenti con contratto a tempo indeterminato è passato dal 16,8% al 14%.
Le ripercussioni della crisi si fanno sentire sugli autonomi (calano dell’1% gli artigiani iscritti alla gestione speciale Inps nel 2012) e sui cosiddetti parasubordinati. In particolare nel primo semestre 2013 il 67% dei rapporti di lavoro sono stati attivati con contratti a tempo determinato, il 17,2% contatti a tempo indeterminato, seguono le collaborazioni (7,2%) e i rapporti d’apprendistato (2,6%). Un altro dato che emerge è il consistente aumento i lavoratori stagionali (+72,6%), passati da 79.269 (2012) a 136.817 del primo semestre 2013, legato «alla previsione normativa di escludere tale tipologia di lavoratori dal contributo addizionale dell’1,4% dell’Assicurazione sociale per l’impiego (Aspi)» introdotto dalla legge Fornero per i contratti a tempo determinato.
La retribuzione mensile netta nel 2012 si attesta a 1.304 euro (968 euro per gli stranieri), ed è forte il divario di genere considerando che gli uomini percepiscono 1.432 euro contro i 1.146 euro delle donne. Il salario netto mensile è fermo ai livelli del 2011 per gli italiani (+4 euro), con un calo di 18 euro per gli stranieri, il valore più basso dal 2008.
Il rapporto si sofferma anche sul quadro socio-demografico caratterizzato da «bassi livelli di fecondità», che sommati al «notevole aumento della sopravvivenza», rendono l’Italia «uno dei paesi più vecchi al mondo». Risultato: al 1?gennaio 2012 si registrano 148,6 persone over 65 ogni 100 giovani under 14, contro le 112 di metà degli anni 90. Il trend è destinato a crescere e, secondo le previsioni, nel 2050 ci saranno 263 anziani ogni 100 giovani. Sempre in tema di pensionati, sono 16 milioni 594mila (dato del 2012), quasi uno su due (46,3%) ha un reddito da pensione inferiore a mille euro, il 38,6% ne percepisce uno fra mille e 2mila euro. Solo il 15,1% dei pensionati ha un reddito superiore a 2mila euro.
Il Sole 24 Ore – 31 dicembre 2013