Continua senza esclusione di colpi la disfida infinita tra il governo e la Regione davanti alla Corte costituzionale. Nel mirino della giunta Zaia, e nelle mani dei legali di Palazzo Balbi, è finita stavolta la legge di Stabilità 2014 approvata il 27 dicembre scorso.
La manovra, che secondo i tecnici della Regione «appare di singolare complessità e difficoltà interpretativa, anche per effetto della tecnica legislativa utilizzata, che evidenzia un articolo unico, composto da 749 commi» è stata impugnata in diversi punti, ritenuti tutti lesivi dell’autonomia riconosciuta dalla Costituzione alla Regione.
Nello specifico, si contesta innanzitutto la proroga delle disposizioni relative al commissariamento delle Province, «applicabile ai casi di scadenza naturale del mandato nonché di cessazione anticipata degli organi provinciali che intervengono in una data compresa tra il 1 gennaio e il 30 giugno 2014». Uno slittamento dei termini resosi necessario per evitare che si vada al voto nelle more dell’approvazione del ddl Delrio, fermo al palo dopo l’avvicendamento tra Letta e Renzi, ma che ha già sollevato più di una perplessità tra gli stessi costituzionalisti. Il ricorso sull’argomento, peraltro, conferma la volontà politica già manifestata dalla Regione di schierarsi al fianco delle Province contro la loro cancellazione.
In secondo luogo si contesta l’introduzione dell’obbligo di ottenere dall’Agenzia del Demanio un nulla osta preventivo ogni qual volta si tratta di rinnovare i contratti di locazione degli immobili stipulati dalla pubblica amministrazione, inclusa ovviamente quella regionale. Una norma legata alla spending review (la ratio è quella di evitare che le articolazioni territoriali dello Stato spendano troppo di affitto, mentre magari in giro per la città ci sono spazi disponibili vuoti e abbandonati) che per i legali di Palazzo Balbi «appare irrazionale e irragionevole».
Terzo punto del ricorso, la ridefinizione dei contorni del patto di stabilità interno, che secondo la Regione sarebbe avvenuta in modo del tutto autoritario da parte di Roma, in spregio «all’indispensabile processo di concertazione istituzionale» che sarebbe dovuto, visto che la materia è annoverata tra quelle a potestà concorrente. Quarto punto, su cui il governatore aveva già anticipato battaglia, l’ampliamento dell’ambito (già piuttosto vasto) di applicazione della capacità impositiva e fiscale già riconosciuta alle province di Trento e Bolzano, «del tutto asimmetricamente rispetto alle Regioni a Statuto ordinario confinanti». Una concessione che, si legge nella delibera varata dalla giunta, «esorbita dai confini della specialità regionale esistenti generando uno squilibrio strutturale incompatibile con il principio di unitarietà ed indivisibilità della Repubblica». Per non dire del rischio dumping e concorrenza sleale tra vicini di casa: «La norma nell’introdurre un regime fiscale differenziato altera le condizioni economiche e patrimoniali degli operatori economici tutelate dall’ordinamento comunitario, e configura una violazione della Costituzione in quanto si costituisce una discriminazione economica su base territoriale e nella connessa violazione degli atti istitutivi della Comunità europea».
Infine, quinto e ultimo punto, l’assegnazione agli enti locali, con modalità indifferenziata, di «competenze relative anche all’organizzazione e gestione di aziende speciali ed istituzioni operanti nell’ambito dei servizi socio-assistenziali». Dal momento che la Sanità è materia di competenza regionale, il comma in questione lederebbe «irrimediabilmente le attribuzioni regionali indiscutibilmente esistenti in materia e riconosciute alle Regioni dalla Costituzione».
Dell’ennesima controversia davanti alla Consulta sono stati investiti i legali dell’Avvocatura regionale e l’avvocato Luigi Manzi del Foro di Roma.
Ma.Bo. – Corriere del Veneto – 1 marzo 2014