Il giudice del lavoro Michele Maria Benini la prima udienza l’ha fissata per il 27 gennaio prossimo, alle 11,20. Sarà allora che s’inizierà a discutere di un ricorso da centinaia di migliaia di euro. Quello presentato dall’ex direttore amministrativo dell’Usl 20 e attuale direttore generale dell’Agec Maria Cristina Motta nei confronti dell’unità sanitaria locale dove ha lavorato dal primo aprile 2013 con un contratto fino a tre anni che invece è terminato il 29 agosto dello stesso anno, quando venne «sollevata» dall’incarico.
Una storia iniziata con un esposto anonimo in cui si faceva notare che la Motta non aveva tutti i requisiti per ricoprire l’incarico di direttore amministrativo e basata su cavilli legali che adesso registra l’ultima puntata: vale a dire la richiesta di danni da parte della Motta per quell’occasione lavorativa «mancata». E nel ricorso depositato dagli avvocati Andrea Pilati e Maria Lughezzani, il «conto» è alquanto salato. Si parte dai 159mila e rotti euro che rappresentano le 18 mensilità – quelle dal termine del lavoro alla 20 fino alla sua assunzione in Agec e quelle che vanno dal gennaio 2015 all’aprile 2016, vale a dire dalla scadenza in Agec fino a quello che sarebbe stato il termine naturale del contratto all’Usl 20 – non percepite dall’ex magistrato dopo la sua «rimozione». Ma il conto è alquanto lungo. Perché oltre al danno patrimoniale da «mancato guadagno», la Motta lamenta anche un danno patrimoniale da «perdita di chances» che i suoi avvocati motivano con una «sostanziale impossibilità di aspirare a un nuovo incarico nell’ambito della sanità pubblica, a causa delle motivazioni e delle modalità che hanno accompagnato la sua decadenza dall’incarico conferitole dall’Usl 20». Il tutto viene calcolato in oltre 319mila euro, «pari al compenso previsto per un ulteriore incarico triennale da direttore amministrativo». E non è finita qui. Perché ci sono anche i danni causati dalla supposta «lesione d’immagine della dottoressa Motta», dato che l’annullamento del contratto avrebbe determinato «nell’opinione pubblica la convinzione che la ricorrente si fosse arrogata in maniera del tutto illegittima e per compiacenze politiche un compito per il quale non aveva i requisiti necessari». Somma richiesta: 40mila euro. Il tutto nasce dopo il ricorso al Tar della Motta, che i giudici amministrativi un anno fa hanno respinto dichiarandosi non competenti. Ma lei non ha mollato. «La mia – spiega – è una scelta doverosa. Io in quell’incarico ci credevo, tanto da prendere prima aspettativa e poi dimettermi dalla magistratura e decidere di correre i miei rischi. Ma un conto è che dopo i tre anni previsti mi venga detto che non sono in grado di non fare il mio lavoro. Un altro è che dopo pochi mesi chi aveva garantito che avevo la qualifica invece faccia un passo indietro e receda il contratto». Da qui il ricorso che nasce su quel cavillo che vuole che chi ricopre l’incarico di direttore amministrativo in una Usl abbia esperienze lavorative in ambito sanitario.
Cosa che – e la Motta lo fa presente – per altri direttori amministrativi non era stata ritenuta fondamentale. In più la Motta ha anche frequentato il corso per direttore generale. Ma, evidentemente, non è bastato a coprire quell’«esperienza in enti (come le Usl, ndr) e strutture sanitarie». A garantire poi che le qualifiche della Motta erano assolutamente consone, era stata il direttore generale dell’Usl 20,Maria Giuseppina Bonavina, forte di vari pareri legali. Colei a cui, per legge, spetta «l’onere della prova». La verifica, cioè, della compatibilità. Che la stessa Bonavina aveva garantito più volte. Ma ad agosto del 2013 il ministero della Salute, rispondendo a un quesito del collegio sindacale dell’Usl 20, aveva detto che no, che quell’esperienza richiesta riguarda anche gli enti sanitari. E la Bonavina si era adeguata, annullando la nomina. Adesso la vicenda arriva in tribunale. E il prossimo capitolo lo scriverà un giudice del lavoro.
Angiola Petronio – Corriere Veneto – 7 novembre 2014