Francesco Bei. Brisbane. Oggetto misterioso, opaco, avvolto in trattative che si svolgono nella massima segretezza. Finora il Ttip — in italiano tradotto in un burocratico “Accordo di partenariato transatlantico su commercio e investimenti” — è stato sinonimo di tutto il male possibile, quasi fosse il parto ultimo del famigerato Sim, lo Stato Imperialista delle Multinazionali di cui vaneggiavano le Br negli anni Settanta.
Insomma, il trattato che dovrebbe abbattere tutte le barriere doganali ancora esistenti tra le due sponde dell’Atlantico, e garantire un’impennata nel commercio e nell’occupazione in Europa e Usa, gode tutt’altro che di buona fama. Per restare in Italia (ma l’ostilità è diffusa in tutta Europa) esiste ad esempio un network di un centinaio tra associazioni di consumatori, sindacati e reti agricole che ha fatto della guerra al Ttip una ragione di mobilitazione di massa. Con un sito molto informato (www. stop-ttip-italia. net). Persino la conferenza dei vescovi europei si è scagliata contro l’accordo. I primi a esserne consapevoli sono i leader impegnati nella trattativa. La novità è che hanno iniziato a ragionare su una controffensiva «culturale». Durante il vertice Usa-Ue a margine del G20 di Brisbane, come apprende Repubblica da una fonte che ha assistito alla riunione, sono state proprio le difficoltà del Ttip al centro delle discussioni dei capi di Stato e di governo. Il più preoccupato è parso il francese Hollande. D’accordo con lui gli altri leader, compreso Matteo Renzi. «Se non vinciamo prima la battaglia delle idee — ha convenuto il premier italiano — il Trattato non andrà in porto». Un pessimismo confermato dal presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker: «In questo momento il Trattato non avrebbe chance di essere approvato dal Parlamento europeo. Non c’è una maggioranza, bisogna prima costruire il consenso». Ancora Renzi: «Si è radicato il pregiudizio di un’opacità dell’accordo, tutta questa segretezza va spazzata via con una offensiva di trasparenza ». Tutti hanno convenuto di iniziare a enfatizzare le potenzialità del Trattato per far uscire il Continente europeo dalla stagnazione, elencando le ricadute positive sull’occupazione, l’apertura del gigantesco mercato Usa alle merci Ue, l’esclusione degli Ogm. Una nota di ottimismo è venuta da Obama, gran sostenitore del Ttip. Che ha fatto sorridere gli altri leader con un paradosso. «Ora che la Camera e il Senato sono in mano ai Repubblicani, sarà tutto più facile. Almeno una cosa buona dalla sconfitta alle elezioni è venuta! ». Un riferimento alla tradizionale diffidenza dei Democratici verso l’apertura totale delle barriere doganali con l’estero. E sempre da Obama è arrivata la previsione di una firma finale sugli accordi entro il 2015.
Repubblica – 18 novembre 2014