Il dipendente che chiede un permesso non retribuito per svolgere un incarico sindacale ha diritto di potersi assentare, secondo quanto prevede l’articolo 31 dello Statuto dei lavoratori, anche se la carica da ricoprire non è contemplata dallo statuto del sindacato. L’azienda che nega tale permesso è responsabile per condotta antisindacale.
Questesonoleconclusionicon le quali la Corte di cassazione (sentenza 24393, depositata ieri) ha risolto il conflitto sorto tra un’azienda e un’organizzazione sindacale, a causa del mancato riconoscimento da parte del datore di lavoro di un permesso non retribuito. Il contenzioso ha avuto ad oggetto la diversa interpretazione che deve essere data alla normativa che regola questo tipo di assenze. Secondo l’articolo 31 dello Statuto, i lavoratori chiamati a ricoprire cariche sindacali hanno diritto a essere collocati in aspettativa non retribuita. La stessa norma prevede, al comma 4, che i periodi di permesso sono utili ai fini del calcolo della pensione, a richiesta dell’interessato, e pertanto sono coperti da contribuzione figurativa. Ma l’articolo 3 del Dlgs 564/1996 ha precisato che rientrano tra le cariche sindacali che danno diritto alla contribuzione figurativa solo quelle previste nello statuto delle organizzazioni sindacali richiedenti, a condizione che siano formalmente attribuite per svolgere funzioni rappresentative e dirigenziali a livello nazionale o locale.
L’azienda aveva negato il permesso, in quanto aveva per oggetto una carica sindacale non prevista dallo statuto dell’organizzazione richiedente. La Cassazione non condivide questa lettura, facendo presente che la norma generale che deve essere applicata al fine di concedere o negare i permessi sindacali resta l’articolo 31 dello Statuto: la disciplina più restrittiva, introdotta con il Dlgs 564/1996, secondo i giudici di legittimità, ha valore solo ai fini previdenziali, e quindi non è sufficiente a limitare l’autonomia del sindacato nell’individuazione delle cariche che danno diritto alla fruizione dei permessi. Questa lettura (già proposta nella sentenza 16507/2014) lascia alle organizzazioni sindacali un potere ampio in merito alla determinazione delle cariche che danno diritto ai permessi. La sentenza precisa che tale potere deve essere esercitato «in modo coerente con la ratio e le finalità della norma», e che spetta al giudice di merito il compito di controllare che questi parametri siano rispettati, ma non sempre tali strumenti sono sufficienti a prevenire gli abusi.
Il Sole 24 Ore – 18 novembre 2014