Facoltà in allarme. Il tribunale amministrativo del Lazio ammette, sia pure con riserva, altri 2.500 studenti e porta i nuovi ingressi a quasi 15mila
Qualche giorno fa il ministro dell’Università Stefania Giannini l’aveva detto, in un tweet come capita spesso nella politica di questi mesi: «Abolire il test d’ingresso a medicina, gli studenti non vanno valutati con 60 domande a risposta multipla». Al momento, però, le certezze finiscono qui: sul futuro, ma soprattutto sul presente, domina invece la nebbia. Ieri è arrivata al traguardo al Tar Lazio un’altra tranche del maxiricorso nata dalle prove dell’8 aprile, e si è conclusa come le precedenti: altre 2.500 matricole che erano state fermate dai test sono state riammesse dai giudici amministrativi per una serie di irregolarità nelle procedure di prova, e si vanno ad aggiungere ai 2mila “ripescati” a luglio e ai 500 di settembre. Totale: 5mila persone in più, che aumentano del 50% il contingente da 9.983 posti scritto nel decreto di marzo. Ammessi «con riserva», per ora, in attesa si un giudizio di merito che con un nuovo colpo di teatro potrebbe (ma è improbabile) ribaltare la situazione fra un po’ di mesi.
Tutto si può dire del numero dei nuovi aspiranti medici di quest’anno, insomma, tranne che sia «programmato» come recita la Gazzetta Ufficiale. Anche perché le battaglie giudiziarie non finiscono qui, altri due ricorsi sono aperti (c’è ancora qualche giorno di tempo per aderire) e le decisioni fotocopia del Tar aumentano di giorno in giorno. Le facoltà non sanno quanti iscritti avranno, a Palermo lunedì si ferma tutto in attesa di capire come gestire il quasi raddoppio delle immatricolazioni (ne erano previste 400, ne stanno arrivando 340 in più), ma ovviamente problemi identici si ripresentano da Nord a Sud.
Lo stesso ministero, del resto, è andato in testacoda davanti alla valanga delle vittorie studentesche al Tar. In una prima circolare del 22 settembre, subito battezzata «blocca-ricorsi», è stato proposto un meccanismo acrobatico per cercare di limitare i danni, imponendo agli studenti riammessi dalle ordinanze di scegliere, fra gli atenei indicati nel test, quello «nel quale risulta minimo lo scarto tra il punteggio del primo in graduatoria in quella sede e il punteggio ottenuto da ricorrente». In pratica, a decidere la possibilità o meno di iscriversi in un ateneo sarebbe stata la performance raggiunta dallo studente più brillante nei quiz, con un meccanismo che avrebbe aperto le porte di università come Campobasso (voto massimo 50,7), Sassari (51,8) o Salerno (53,8), blindando invece le aule di Torino (voto massimo 80,5), Foggia (78,6), Milano (78,6) e a Palermo (72,2). L’idea ministeriale ha fatto arrabbiare i rettori e infuriare gli studenti, e per evitare di avvitarsi nei “ricorsi sul blocca-ricorsi” ha fatto marcia indietro con una nuova nota che permette di iscriversi nell’università preferita dallo studente. Da qui il disorientamento delle università, che in questo via-vai di regole decise e smentite non sanno quanti studenti avranno: con tanti saluti alla «programmazione», e ai «criteri di qualità» che sono indispensabili per accreditare i corsi e che si fondano anche sulle proporzioni fra il numero dei docenti e quello degli studenti. Questi ultimi parlano di «vittoria epocale», che secondo il coordinatore nazionale dell’Unione degli universitari Gianluca Scuccimarra «è destinata a cambiare completamente l’attuale sistema», ma il ministro sottolinea che vanno aboliti i quiz «ma non il numero programmato». Insomma, la battaglia continua con un unico dato che mette d’accordo tutti: a decidere i futuri medici non possono più essere né i test né i Tar.
11 ottobre 2014