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    Home»Notizie ed Approfondimenti»Pensione a 67 anni. E chi resta a piedi prima?
    Notizie ed Approfondimenti

    Pensione a 67 anni. E chi resta a piedi prima?

    pecore-elettricheInserito da pecore-elettriche6 Novembre 2011Nessun commento3 Minuti di lettura
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    di Massimo Muchetti. Soluzioni: o ci pensa l’Inps o si fanno accordi come a Intesa Sanpaolo per salvare la patria, tutti in pensione non prima dei 67 anni. Come nella virtuosa Germania.

    Pertanto, via le pensioni di anzianità che si ottengono con 40 anni di contribuzione senza limiti di età ovvero con 35 anni di contributi e un’età che, al momento, è di 61 anni. Rinviare di un anno l’esercizio effettivo di tali diritti acquisiti è un palliativo. Inutile dire che i 67 anni la Germania li raggiungerà solo nel 2029 e che forme di anticipo della pensione esistono anche altrove, sia pure con forti penalizzazioni. Non abbiamo i soldi della Germania. Tiriamo la cinghia. Bene. Ma come la mettiamo con le imprese che, appena possono, mandano via gli over 55-60? E che cosa diciamo ai senza lavoro e senza pensione, che usano Tfr e risparmi per pagare la volontaria allo scopo di agganciare il trattamento di anzianità, unico modo per ritrovare un reddito? II problema merita attenzione, posto che si rifiuti la soluzione selvaggia di abbandonare ciascuno al proprio destino, tanto il bisogno aguzza l’ingegno. Girano tre idee: a) dotare l’Inps dei mezzi necessari per aiutare gli emarginati a raggiungere la pensione all’età che il legislatore deciderà, e a tal fine stabilire il mix di tassazione e contribuzione necessario a finanziare l’aiuto b) incentivare le imprese ad assumere gli anziani oltre che i giovani, idea non nuova ma, temo, scarsamente applicata; c) riformulare la contrattazione sindacale così da raffreddare il problema, ovunque possibile.

    Il recente accordo tra Intesa Sanpaolo e Cgll, Cisl, Uil e Abi rappresenta, al proposito, un esempio di che cosa si può fare senza oneri per lo Stato. La banca si è posta l’obiettivo di ridurre il personale di 5 mila unità attraverso i prepensionamenti. Mosse fatali in tempi di crisi. D’altra parte, se la banca perde, addio credito all’economia e guai peggiori per tutti. I prepensionamenti sono a carico del fondo di solidarietà, un istituto contrattuale finanziato dalla banca. Durano al massimo 6o mesi, fino al conseguimento dei requisiti per la pensione normale. Nel periodo, la banca versa i contributi pieni all’Inps e al fondo integrativo aziendale cosicché pensione e integrazione non vengano poi penalizzate. L’assegno di prepensionamento è pari alla pensione decurtata dell’11%, sconto negoziato dopo l’annullamento di vecchi benefici fiscali. II prepensionato accetta dunque un taglio (provvisorio) del reddito pari al 30-40%. La banca, a regime, e cioè dal 2014, risparmia 400 milioni l’anno su 5 miliardi del suo costo del lavoro in Italia. E tanto? È poco? Per Intesa diranno i soci. Intanto, i volontari sono 5600. Ma c’è dell’altro. In base all’accordo, gli anziani potranno ridurre gradualmente le ore lavorate e rimanere anche oltre l’età di pensione ricevendo una parziale integrazione della quota di salario perduta e al tempo stesso la banca assumerà giovani con contratti a tempo indeterminato. La flessibilità in uscita consente la stabilizzazione in entrata. Certo, non è più come una volta: il costo del lavoro medio degli anziani è pari a 70-80mila euro l’anno, quello dei giovani parte da 8-9 mila euro e sale fino a 25 mila nei 4 anni di apprendistato. Ci sono alternative migliori?

    Il Corriere della Sera 6 novembre 2011

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