Dopo le elezioni la resa dei conti tra i lealisti e i «barbari». Quanta confusione sotto il cielo padano. La circolare diramata dal segretario nathional Flavio Tosi che impone il silenzio ai militanti sortisce l’effetto, non voluto e contrario, di alimentare la rabbia dei dissidenti, sempre più anonima, carsica, tanto più forte quanto più oscuri sono gli episodi incriminati e chi li riferisce.
Si parla di raduni carbonari dei sindaci, addirittura 40 nel Trevigiano, ma il presunto capo dei rivoltosi, l’ex segretario Gian Antonio Da Re, dice di non saperne nulla: «Se li hanno fatti, non sono stato invitato. Ma non li hanno fatti: lo sarei venuto a sapere» chiarisce forte del fatto che quei sindaci li ha cresciuti lui e nella «sua Treviso» non si muove paglia senza che gli arrivi all’orecchio. Stesso discorso per Marzio Favero e Bepi Covre, indicati come gli ideologi della rivolta: «Non vi è stata alcuna auto-convocazione». Dicono la verità? Mentono tutti? Si devono fidare i cronisti e si deve fidare pure Tosi, non c’è alternativa. Racconti senza volto, d’altra parte, hanno per protagonista lo stesso sindaco scaligero ed «il clan dei veronesi», che starebbero orchestrando la nascita di una grande lista civica (ci sarebbe già il nome: «Veneto per Tosi») che raccogliendo pezzi di Lega e pezzi di Pdl sospingerebbe il beniamino fino al soglio di Palazzo Balbi, scalzando Luca Zaia dalla poltrona di presidente della Regione nel 2015. Da quando Tosi l’ha lanciata alle Comunali di Verona, la sua civica («Piace anche a Galan», «Assorbirà i delusi del Pd», «E’ l’approdo della nuova destra» alcune delle sinossi che l’accompagnano) è stata data in corsa per le Politiche, per le Comunali di Treviso e Vicenza, per le Regionali. Lui ha già negato più volte di avere mire su Palazzo Balbi ed anche ieri da Verona hanno liquidato ogni tentativo di avere un commento con un laconico «Tosi non replica alle invenzioni». Dice la verità? Mente? Si devono fidare i cronisti e si deve fidare pure Zaia, non c’è alternativa. Partendo però da alcuni punti fermi: che Tosi aspirasse a fare il governatore prima che Bossi e Berlusconi scegliessero Zaia è oramai un postulato, così come che Tosi sia il primo teorico di un partito (che poi sia la Lega se ne può discutere) che muovendo dai rassemblement civici vada oltre gli schieramenti per diventare una sorta di «sindacato territoriale egemonico» un po’ come la Csu bavarese o l’Svp sudtirolese. Tutti si chiedono: dove vuole arrivare? La prima risposta che si danno i leghisti, almeno sul piano temporale, è la segreteria federale, visto che Maroni ha già detto di volersi fare da parte comunque vada la corsa in Lombardia. La seconda è la presidenza della Regione. Le voci, continue e insistenti, ronzano da tempo anche attorno a Zaia e tra i due ormai è sceso il grande gelo: il governatore, dopo che Tosi ha avocato a sé ogni decisione, ha preso le distanze dalle liste e attende al varco l’antagonista: «Il bilancio lo faremo dopo le elezioni». Anche per questo, raccontano, farà il minimo indispensabile in campagna elettorale: non vuole farsi prendere nell’abbraccio mortale della sconfitta annunciata. Come lui, silenziati dalla circolare bavaglio, attendono il 26 febbraio anche tutti i lealisti bossiani che qui in Veneto, è bene ricordarlo, pesano per il 43%. I colonnelli delusi dalle liste tengono alta la tensione tra le truppe e mandano segnali inequivocabili: alla presentazione dei candidati a Belluno, per fare un esempio, l’ex presidente della Provincia Gianpaolo Bottacin e l’uscente Gianvittore Vaccari non si sono fatti vedere manco col binocolo. Intanto Santino Bozza, il consigliere che ha dato il via con un esposto ai controlli della Finanza in Regione, insiste: «Non sono affatto isolato. Nella notte delle scope non chiedevano una Lega onesta, lontana da chi usa male i soldi pubblici ? E’ esattamente quello che chiedo anche io».
Marco Bonet – Corriere del Veneto – 31 gennaio 2013