Una minaccia subdola e mutevole, che si accanisce sui paesi in via di sviluppo ma non risparmia nemmeno quelli occidentali, portando sulle nostre tavole patogeni e specie chimiche tossiche. La Giornata mondiale dell’acqua di quest’anno è dedicata ai reflui, le acque di scarico che dopo utilizzazione domestica, industriale o agricola, sono sottoposte a trattamenti più o meno spinti di depurazione prima di essere riversati nei corpi d’acqua superficiali. Secondo il più recente rapporto del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP), negli ultimi anni le acque di America meridionale, Africa e Asiasono state interessate da un drammatico aumento dell’inquinamento esponendo centinaia di milioni di persone al rischio di contrarre malattie mortali: 25 milioni in America meridionale, 164 milioni in Africa e 134 milioni in Asia.
Ogni anno si registrano 3,4 milioni di decessi legati alla presenza di agenti patogeni nell’acqua. Le malattie più diffuse sono tifo e colera, ma altrettanto letali possono essere le epatiti infettive, la polio e la criptosporidiosi a cui si aggiungono ascaridiasi e malattie diarroiche.
Le malattie. La maggioranza di queste malattie sono dovute alla presenza di carico organico di origine antropica nell’acqua: in alcuni Paesi, più del 90% della popolazione dipende da fiumi e laghi come principale fonte d’acqua potabile. L’inquinamento di fiumi e falde non riguarda solo i Paesi in via di sviluppo: nell’ultimo decennio globalizzazione, abuso di antibiotici e sviluppo di nuove molecole hanno riportato d’attualità il tema della depurazione anche in Europa. “Eravamo convinti che il settore avesse ormai raggiunto la maturità tecnologica – spiega Vito Uricchio, direttore dell’Istituto di Ricerca sulle Acque (CNR-IRSA) – in realtà non è più così”.
Accanto agli inquinanti tradizionali come nitriti e nitrati sempre più spesso i reflui contengono sostanze chimiche di sintesi industriale che non sono previste dalle analisi di routine.
Fare una stima è pressoché impossibile: il registro dell’Agenzia Europea per le Sostanze Chimiche (ECHA) consta di oltre 100mila sostanze chimiche, alle quali vanno sommate quelle prodotte al di fuori dell’Unione Europea nonché i loro metaboliti secondari.
Pfas. Alcune di queste stiamo imparando a conoscerle a nostre spese, come le sostanze perfluoro alchiliche (Pfas) le quali, prive di alcun limite di legge, per decenni hanno avvelenato le falde acquifere del Veneto. Si tratta di inibitori endocrini persistenti, le cui conseguenze sulla salute non sono ancora del tutto comprese. “E non sono gli unici: nelle nostre acque si possono trovare altre sostanze estremamente tossiche come policlorobifenili e diossine – prosegue Uricchio – per non parlare dei pesticidi, un terzo dei quali è mediamente fuori norma”.
Un altro problema è rappresentato dagli antibiotici, troppo spesso abusati negli allevamenti per aumentare il peso degli animali. Giunti nelle acque reflue, innescano nei batteri fenomeni di antibiotico-resistenza, rendendoli alla lunga inefficaci. Tutto ciò che finisce nei fiumi, rischia infatti di finire sulle nostre tavole: i prodotti ortofrutticoli contengono dall’80 al 98% di acqua. Ecco perché serve cambiare passo. “Dobbiamo aumentare il numero di analisi e rivoluzionare l’approccio, non più basato solamente sulle sostanze chimiche ma – conclude Uricchio – . anche su metodi ecotossicologici e biomolecolari. Ci stiamo lavorando”
Repubblica.it – 23 marzo 2017