Legittimo il licenziamento disciplinare del dipendente anche quando il datore di lavoro invia, dopo il recesso, una lettera di contestazione integrativa per riparare ad alcune imprecisioni. L’importante è che non sia modificato il nucleo essenziale dell’addebito.
Lo ha affermato la Cassazione con la sentenza 24567/2011 che ha respinto il ricorso di un dipendente di una società di raccolta dei rifiuti. L’uomo, che era stato licenziato perché sorpreso più volte in pizzeria durante l’orario di lavoro, aveva contestato l’operato dell’azienda sostenendo che non erano state rispettate le regole per i licenziamenti disciplinari.
Il tribunale, al contrario, ha sostenuto che la lettera di contestazione appariva idonea a esporre le ragioni del rimprovero disciplinare, dal momento che la stessa, nonostante alcune imprecisioni circa le denominazione del locale dove si era ripetutamente recato durante l’orario di servizio per svolgere incombenze estranee allo stesso, descriveva puntualmente il comportamento tenuto e richiamava la contestazione verbale che, nel l’immediatezza dei fatti, era stata operata dai suoi superiori. Date queste premesse, ha concluso il tribunale, non esisteva alcuna compressione del diritto di difesa anche se la motivazione del recesso era stata corretta per aspetti non essenziali con una successiva comunicazione inoltrata dopo il licenziamento.
Di qui il ricorso in Cassazione del lavoratore che ha lamentato la violazione dell’articolo 7 dello statuto. Secondo l’incolpato il collegio avrebbe trascurato di considerare che, dovendo la contestazione dell’addebito rivestire i caratteri della chiarezza e completezza, doveva ritenersi lesivo di questi principi l’invio, a procedimento già concluso, di una lettera di integrazione della contestazione basata su verifiche del contenuto delle difese del lavoratore effettuate dopo l’irrogazione del licenziamento stesso.
La Cassazione non è stata dello stesso avviso affermando, al contrario, che in caso di sanzioni disciplinari, la preventiva contestazione degli addebiti è volta a consentire un’immediata difesa e deve rivestire i caratteri della specificità. Ciò significa che non sono mai consentite contestazioni “in progress” o “allusive”. Il criterio per stabilire se le nuove deduzioni del datore di lavoro siano precluse si snoda in un duplice profilo applicativo, uno ontologico e l’altro funzionale. Sotto il primo aspetto, spiega la Suprema corte, è ravvisabile una modifica sostanziale del l’originaria contestazione quando le circostanze nuove si configurano come elementi integrativi di una fattispecie astratta di illecito disciplinare prevista in una norma diversa rispetto alla quale sarebbero, invece, insufficienti i fatti originariamente contestati. Il secondo aspetto implica che una deduzione tardiva è compatibile con le garanzie del diritto di difesa che il procedimento disciplinare mira ad assicurare al lavoratore incolpato, soltanto quando riguarda circostanze prive di valore identificativo della fattispecie. Nel caso in esame, ha concluso il collegio, la lettera di contestazione integrativa, avendo corretto solo le imprecisioni circa l’esatta denominazione della pizzeria e il numero civico del locale, non ha modificato i fatti addebitati né determinato alcuna lesione del diritto di difesa.
MASSIMA
«Ai fini della tempestività della contestazione dell’addebito, l’integrazione dell’originaria formulazione delle cendure non determina una immutazione della contestazione allorchè le circostanze nuove addotte dal datore di lavoro non risultino determinanti per l’esatta individuazione e comprensione dei fatti oggetto di censura, ma riguardano allegazioni volte a fornire precisazioni e chiarimenti a tal scopo non essenziali, dovendosi, invece, qualificare come nuova contestazione quella che, in realtà, incide sul nucleo essenziale dell’addebito».