Da un’indagine Coldiretti emerge che il 63% di quelle cucinate è realizzato con un mix di ingredienti provenienti dall’estero: mozzarelle di semilavorati industriali dell’Est Europa, pomodoro cinese e farina ucraina. L’olio non è extravergine, ma di semi
MILANO – Addio alla pizza napoletana. Addio alla pizza simbolo dell’Italia povera, ma bella. Peggio, addio alla piazza made in Italy: quasi due su tre (il 63%) sono ottenute da un mix di ingredienti provenienti dall’estero all’insaputa dei milioni di consumatori che ogni giorno ordinano il loro piatto preferito.
Il dato emerge da una ricerca Coldiretti che analizza come siano cambiate le abitudini alimentari degli italiani dall’inizio della crisi: nelle pizzerie, sempre più spesso – spiega l’associazione – viene servito un prodotto preparato con mozzarelle ottenute non dal latte ma da semilavorati industriali, le cosiddette cagliate, provenienti dall’est Europa, pomodoro cinese o americano invece di quello nostrano, olio di oliva tunisino e spagnolo oppure olio di semi al posto dell’extravergine italiano e farina francese, tedesca o ucraina che sostituisce quella ottenuta dal grano nazionale.
Con il risultato di allontanare anche i consumatori che rinunciano o riducono le loro uscite al ristorante. Sempre secondo il dossier, nel 2013, in Italia sono stati importati 481 milioni di chili d’olio di oliva e sansa, oltre 80 milioni di chili di cagliate per mozzarelle, 105 milioni di chili di concentrato di pomodoro dei quali 58 milioni dagli usa e 29 milioni dalla cina e 3,6 miliardi di chili di grano tenero con una tendenza all’aumento del 20% nei primi due mesi del 2014.
Una fiume di materia prima che – sottolinea Coldiretti – compromette l’originalità tricolore del prodotto servito nelle 50mila pizzerie presenti
in Italia che generano un fatturato stimato di 10 miliardi, ma non offrono alcuna garanzia al consumatore sulla provenienza degli ingredienti utilizzati. L’unica nota positiva emersa dalla ricerca è che se la pizza è sempre meno made in Italy, la pasta ha subito una svolta autarchica con l’aumento vorticoso di marchi che garantiscono l’origine italiana del grano impiegato al 100%.
Repubblica.it – 28 maggio 2014