Se perdi una puntata rischi di non capirci più nulla. Le Regionali 2015 sono un tale intreccio di alleanze e spaccature — tra i partiti, ma soprattutto dentro ai singoli partiti — da mettere a dura prova la buona volontà di informarsi degli elettori. Si vota domenica 31 maggio in sette Regioni (e anche in 1.089 Comuni) per un totale di circa 17 milioni di italiani chiamati alle urne.
A meno di due mesi dall’election day «il dato più significativo — secondo Alessandro Campi, che insegna Storia del pensiero politico all’Università di Perugia — è l’estrema difficoltà con cui sono stati trovati i candidati, le guerre in corso per definire le liste: ci dicono molto sul cattivo stato della politica in Italia».
Il quadro, con l’«estrema difficoltà» di cui parla il professor Campi, si è quasi composto: il Pd, che a Roma governa con Alleanza popolare (Ncd+Udc), non ripropone la stessa formula sul territorio. Ma nemmeno l’alleanza con Sel, il vecchio centrosinistra, è in buona salute: in Liguria, Toscana, Marche e Campania i vendoliani avranno un loro candidato. Al partito «a vocazione maggioritaria» guidato da Matteo Renzi giocarsi da solo la partita non dispiace e il cuore della sfida a sinistra sarà in Liguria. Dopo primarie contestate e l’addio polemico di Sergio Cofferati, un parlamentare (Luca Pastorino) ha lasciato il Pd per correre contro la candidata del Pd (Raffaella Paita). Mai visto. Forza Italia e Lega, dopo settimane di tentennamenti, hanno quindi deciso di giocare nella regione la carta di Giovanni Toti, consigliere politico di Berlusconi.
Per il centrodestra il caso simbolo è il Veneto. Qui è stata la Lega a spaccarsi, da una parte il governatore uscente Luca Zaia, dall’altro il sindaco di Verona Flavio Tosi. In mezzo Alessandra Moretti, Pd, che tenta il colpaccio in una regione da sempre «impossibile» per la sinistra. Mai visto anche qui, se poi si aggiunge che ieri l’ex ministro di FI Raffaele Fitto ha ipotizzato di sostenere Tosi mentre il suo partito corre per Zaia. Liguria e Veneto sono solo i casi più eclatanti dei tanti «inediti» di queste Regionali: in Campania ci sono i dissidenti di FI che si dicono pronti a sostenere Vincenzo De Luca (Pd), nelle Marche c’è un governatore uscente ex Pd (Gian Mario Spacca) che si ripresenta con il sostegno del centrodestra, in Puglia ci sono gli esponenti di Ncd che avevano lasciato Forza Italia proprio per non stare con Fitto, e che ora si ritrovano insieme a Fitto a sostenere il candidato del centrodestra Francesco Schittulli.
«La verità — dice Alessandro Campi — è che i partiti non sono più in grado di tenere sotto controllo gli apparati a livello locale. Ciò che succede in periferia ormai sfugge perfino al Pd, che è il partito più strutturato». Una volta non era così: «Il legame con la politica nazionale era molto più stretto, ma negli ultimi tre-quattro anni è cambiato tutto. A livello locale contano solo i gruppi di potere, spesso sono trasversali e il personale politico passa da una parte all’altra: è una specie di neo feudalesimo, un livello di disgregazione inimmaginabile, basta vedere cosa è successo dentro al Pd romano».
Eppure non molti anni fa chi perdeva le Regionali (Massimo D’Alema nel 2000) o addirittura ne perdeva una sola (Walter Veltroni nel 2009 con la Sardegna) si dimetteva da premier: «Anche se è passato poco tempo, quella era un’altra Italia: centrosinistra e centrodestra erano fronti compatti, con differenze politiche riconoscibili. I partiti erano già deboli, ma ora — sostiene Campi — siamo alla conclusione di un processo: restano solo potentati locali e consensi personali. E i politici sul territorio spesso usano i referenti nazionali come se fosse un franchising : se uno si dice “fittiano” in Liguria o in Veneto, per esempio, lo fa solo per posizionarsi dentro a un partito».
A mano a mano che le urne si avvicinano, la posta in palio diventerà più chiara anche a livello nazionale: il Pd farà l’en plein o il centrodestra riuscirà a vincere in qualche regione? E i Cinquestelle avranno ancora risultati in doppia cifra? «Alla fine una lettura nazionale ci sarà — conclude Campi. Ma sarà meglio che, dopo le Regionali, i partiti affrontino seriamente questa deriva preoccupante che ha preso la politica locale».
Il Corriere della Sera – 8 aprile 2015