
Al palo le vaccinazioni dai medici di famiglia. In metà Regioni mancano gli accordi locali per avviare le iniezioni negli studi
Il Sole 24 Ore. Non è solo un problema di vaccini, ma anche di vaccinatori. A tre mesi dal bando dell’ex commissario Arcuri che cercava 12mila infermieri e 3mila medici finora sono solo 1750 i contratti sottoscritti, di cui solo 540 infermieri, mentre altri mille starebbero completando le selezioni. Un flop almeno finora che si lega a un altro flop se possibile ancora più grande: quello che prevede il coinvolgimento dei quasi 40mila medici di famiglia che solo in una manciata di regioni – a cominciare da Lazio, Toscana ed Emilia – hanno iniziato a fare le prime iniezioni.
A due settimane dall’accordo nazionale promosso dal ministro della Salute Roberto Speranza con tutte le sigle della medicina generale che prevede anche un rimborso per ogni iniezione a studio (al minimo 6,12 euro), solo metà delle Regioni ha chiuso anche il necessario accordo a livello locale che dettaglia modalità e costi, mentre l’altra metà ancora non l’ha fatto. Si tratta di Sicilia, Puglia, Abruzzo, Campania, Marche, Molise, Veneto, Friuli, Liguria e Bolzano. Eppure i vaccini per cominciare a immunizzare gli under 65 negli studi, sulla carta non mancherebbero: al momento ci sono oltre 1,5 milioni di dosi di AstraZeneca, il siero considerato più adatto ai medici di famiglia perché si conserva in frigo, ma finora ne sono state utilizzate circa il 25%, soprattutto negli hub per vaccinare personale scolastico e forze dell’ordine.
Il nuovo piano che dovrà riscrivere il Governo Draghi – domani il primo incontro con le Regioni – dovrà partire anche da qui . Il presidente delle Regioni Stefano Bonaccini – che è anche governatore dell’Emilia Romagna dove dal 22 febbraio i medici di famiglia hanno cominciato a vaccinare gli insegnanti – aveva salutato il “patto” con i Mmg come una svolta: «Potremo organizzare in modo più efficace e capillare sul territorio le vaccinazioni e implementarle, dando così respiro a tutti gli altri comparti in prima linea». Ma la realtà è ben diversa: «C’è confusione totale, gli accordi con le Regioni non sono conclusi, non ci sono i vaccini», afferma tranchant il presidente della Società di medicina generale Claudio Cricelli. «Da mesi ci siamo detti disponibili ma non c’è un arruolamento vero della categoria e la verità è che ogni Regione, ma anche ogni Asl, va da sé. Eppure il vaccino AstraZeneca è l’ideale, ma le dosi arrivano col contagocce anche in Toscana, che è tra le Regioni più avanzate. Il risultato è che il coinvolgimento dei medici di famiglia, già addestrati da anni di campagne antinfluenzali, è al palo».
La mancanza di dosi è il primo fattore di criticità: i dottori di base guardano all’arrivo del quarto vaccino, monodose e di facile conservazione anch’esso, il Johnson & Johnson che dovrebbe essere approvato l’11 marzo dall’Ema per un decisivo cambio di passo. «Ci aspettiamo un aumento esponenziale degli invii – conferma Pierluigi Bartoletti, segretario per il Lazio della Fimmg, il principale sindacato dei medici di famiglia -. Il problema non è sanitario ma logistico e speriamo che la gestione affidata al generale Figliuolo possa fare la differenza. Oggi brancoliamo nel buio: i pazienti chiedono di essere vaccinati ma io stesso non riesco a fare più di dieci iniezioni a settimana e altri colleghi devono spalmarle in quindici giorni. Eppure basterebbe fare come in Inghilterra o in Israele: assegnare a ogni dottore un quantitativo di dosi, consentendogli di somministrarle ai pazienti man mano che si presentano». Lo stop&go sulle consegne avrebbe invece favorito un approccio “conservativo”, con una selezione serrata ma disomogenea delle categorie da vaccinare che contribuirebbe alla confusione e alla “burocratizzazione” della campagna. Il ministero sta provando a correggere il tiro: «Il ministro Speranza ci chiede lo stato dell’arte perché da sempre supporta il nostro ruolo – spiega il segretario nazionale della Fimmg Silvestro Scotti – ma l’elenco delle Regioni che fanno resistenza rispetto agli accordi è lungo. Il risultato sono le file che gli insegnanti sono costretti a fare per 2 ore e mezzo davanti agli hub vaccinali in Campania, conseguenza di un accavallarsi tra gli appuntamenti per i richiami e quelli per la prima dose. Mentre i nostri studi sono aperti».