Anche in Italia è partita la raccolta firme per la petizione che chiede di sospendere le trattative relative al TTIP, il Trattato commerciale di libero scambio tra Unione europea e Stati Uniti (Transatlantic Trade and Investment Partnership – TTIP), le cui negoziazioni sono iniziate nel luglio 2013 e che all’inizio di febbraio hanno visto l’ottava tornata di incontri tra le due delegazioni.La petizione, lanciata lo scorso luglio in vari Paesi europei dalla coalizione di vari gruppi sotto la sigla “Stop TTIP”, aveva come obiettivo un milione di firme, che sono state consegnate al presidente della Commissione europea, Jean-Claude Junker, lo scorso dicembre, in occasione del suo 60° compleanno. L’obiettivo iniziale è stato ormai largamente superato e attualmente le firme sono oltre un milione e cinquecentomila. Il nuovo obiettivo è di arrivare a due milioni di firme entro il prossimo ottobre. Vai alla petizione
Sinora, la maggioranza delle adesioni è stata raccolta nei Paesi dell’Europa centro-settentrionale. In Italia, l’iniziativa vedrà la partecipazione di oltre 140 organizzazioni, aderenti alla campagna Stop TTIP Italia.
La petizione, chiede anche all’Unione europea anche di non stipulare l’accordo economico e commerciale CETA con il Canada in quanto ritiene che i due Trattati “comportano diversi problemi fondamentali, quali la composizione delle controversie tra Stato e investitori privati, nonché le regole inerenti la cooperazione in campo normativo, che costituiscono una minaccia per la democrazia e lo stato di diritto. Vogliamo evitare una riduzione degli standard sociali, ambientali e inerenti il lavoro, la protezione dei dati personali e dei diritti dei consumatori, e una deregolamentazione delle risorse culturali e dei servizi pubblici (come l’acqua) in trattative non trasparenti”.
La Commissione europea ha giudicato inammissibile la richiesta di riconoscere questa petizione come una “Iniziativa dei cittadini europei”, perché “esula manifestamente dalla competenza della Commissione di presentare una proposta di atto legislativo dell’Unione ai fini dell’applicazione dei trattati”. L’iscrizione nel registro delle iniziative popolari avrebbe dato diritto, tra l’altro, ai promotori a un’audizione al Parlamento europeo. Contro il rifiuto della Commissione, la campagna europea Stop TTIP ha fatto ricorso alla Corte di Giustizia europea.
La capacità di mobilitazione degli oppositori al trattato si è vista anche in occasione della consultazione pubblica online in merito a uno dei punti più controversi della trattativa sul TTIP e cioè la possibile creazione di un sistema di arbitrato sovranazionale (ISDS), destinato a risolvere le controversie tra aziende e governi accusati di non rispettare le clausole del trattato, bypassando i sistemi giudiziari nazionali. Il timore diffuso è che in questo modo si cerchi di far prevalere gli interessi economici e commerciali su quelli di tutela della sicurezza e della salute, in particolare nel settore agroalimentare.
I risultati della consultazione pubblica, svoltasi tra aprile e luglio 2014, sono stati divulgati in gennaio e hanno rivelato un interesse e una partecipazione senza precedenti, come ha riconosciuto la stessa Commissione: circa 150.000 risposte, di cui il 97% contrarie all’ISDS, provenienti da piattaforme online delle organizzazioni oppositrici, che hanno tradotto in linguaggio comprensibile a tutti le questioni molto tecniche poste dalla Commissione. Tuttavia, altre tremila risposte non organizzate ma portatrici di preoccupazioni sono venute da soggetti individuali, Ong, organizzazioni imprenditoriali, sindacati, gruppi di consumatori, studi legali e ricercatori.
La commissaria europea al Commercio, Cecilia Malmström, ha riconosciuto che “dalla consultazione emerge chiaramente un notevole scetticismo nei confronti dello strumento ISDS” e quindi ogni decisione sul suo eventuale inserimento nel TTIP andrà rinviata alla fase finale delle trattative, intavolando prima “una discussione aperta e franca” con i governi nazionali, il Parlamento europeo e la società civile.
Tratto da Beniamino Bonardi – vai all’articolo originale Il Fatto alimentare – 8 marzo 2015