E tre. Al termine di una maratona di voto, iniziata ieri a mezzogiorno e proseguita senza stop fino al tardo pomeriggio, il Governo porta a casa alla Camera tre distinte fiducie sui “nodi” del ddl anticorruzione. La maggioranza-base si conferma, tra qualche distinguo, il fronte Udc-Pd-Pdl, mentre l’opposizione vede schierati Idv e Lega.
Tra polemiche, lezioni di diritto e accuse di favorire l’omertà dei corrotti, incassa il sì l’articolo 10, che dà un anno di tempo all’Esecutivo per introdurre l’incandidabilità a cariche elettive dei condannati con sentenza definitiva. In teoria la delega, se sfruttata in pieno, potrebbe portare ad una approvazione delle nuove regole (divieto di candidatura a chi abbia subito una condanna definitiva per più di due anni) fuori tempo massimo per la legislatura del 2013, con rinvio quindi al 2018. Rischio che costringe a parole rassicuranti il ministro della Pa Patroni Griffi («norme in vigore appena approvato il ddl») e della Guardasigilli Severino, che respinge il pessimismo: «Cercheremo di varare le nuove norme entro il 2013».
A seguire, semaforo verde al delicato articolo 13, che definisce tra l’altro i nuovi reati di corruzione per induzione e traffico illecito di influenze. La fiducia arriva anche per l’articolo 14, che disciplina il nuovo reato di concussione tra privati.
Nonostante il risultato, la triplice fiducia potrebbe costituire una vittoria di Pirro per il Governo. Segnali, in questo senso, sono le richieste di modifiche al Senato (dove il ddl deve tornare per la seconda lettura) già avanzate dai colonnelli Pdl, soprattutto sul fronte del traffico di influenze, spiega il capogruppo a Montecitorio, Fabrizio Cicchitto, «perché rischia di dare ai Pm una discrezionalità del tutto eccessiva». Sul punto, il Guardasigilli non si sbilancia: «Vedremo. Sono soddisfatta perché il ddl ha mantenuto, per quanto cambiato dalle commissioni, la sua identità». Campanello d’allarme anche il minimo dei consensi al Governo confermati dai numeri: sull’articolo 10, i sì sono stati 461, i no 75 e gli astenuti 7. Sui contestati articoli 13 e 14 i favorevoli sono scesi a 431 e 430. Il minimo precedente il 16 maggio, quando la fiducia al Dl commissioni bancarie passò con 447 sì.
Consensi a parte, molti i “fattori di rischio” per il governo evidenziati dal dibattito. In aula si assiste allo scontro a distanza tra due ex Pm, Antonio di Pietro (Idv) e Donatella Ferranti (Pd). Il primo rievoca la sua storia di Pm di Mani pulite, e al termine di una mini lezione sulla concussione sintetizza il no Idv: «Noi proponevamo di combattere la corruzione e di rompere il patto di omertà», con il ddl, il Guardasigilli «sta aumentando ancor di più la possibilità di commettere violenza per induzione e di farla pure franca». Ferranti preferisce ribadire la possibilità di far scattare l’incandidabilità «già alle politiche 2013, se il governo eserciterà la delega in tempo utile».
Respinte invece le accuse di favorire, con il sì del Pd all’articolo 13, il collega di partito Penati (caso appalti a Sesto S. Giovanni) grazie alla rimodulazione delle pene previste per la concussione per induzione: «Il reato di cui è accusato – sottolinea – è già prescritto con la legge attualmente in vigore». L’attacco più duro al Governo arriva da Manlio Contento (Pdl), che accusa Severino di aver fatto dell’induzione un reato autonomo andando oltre le richieste Ocse per evitare «di chiudere immediatamente il processo di Berlusconi» per il caso Ruby. Quindi «non una norma “ad personam” ma una norma “contra personam”». Con una aggravante: «Con la nuova concussione Penati sarà prescritto». L’attenzione passa quindi al voto finale di oggi, quando l’aula voterà l’insieme del ddl e potrebbe crescere il voto di protesta.
Il Sole 24 Ore – 14 giugno 2012