di Filippo Tosatto. Il sospirato via libera all’applicazione dei costi standard nella sanità entro il 2014, sancito dalla Conferenza Stato-Regioni a conclusione di un braccio di ferro estenuante, rappresenta un successo significativo del Veneto e – ciò che più conta – promette un’inversione di tendenza nella distribuzione delle risorse pubbliche in un capitolo cruciale, quello della tutela della salute. Il punto di partenza è il Fondo sanitario nazionale, cioè il budget (107 miliardi nel 2013) che ogni anno lo Stato ripartisce tra le Regioni. Ma come avviene la sua spartizione? Finora il criterio decisivo è stato quello della spesa storica, cioè l’entità delle uscite precedenti: un meccanismo che ha garantito la perpetuazione dell’esistente, inclusi gli sprechi vistosi che, soprattutto nel Mezzogiorno, hanno gonfiato a dismisura i bilanci.
Stando a dati di fonte ministeriale, l’altalena delle principali voci di spesa sanitaria propone picchi sconcertanti. Nel Veneto i costi appaiono quasi sempre ridotti al minimo, non solo rispetto al resto del Paese ma anche in riferimento al prezzo medio Avcp, quello di riferimento dell’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, voluto dal Governo Monti nel tentativo (vano, ahinoi) di arginare gli sperperi.
Qualche esempio? Negli ospedali nostrani i pasti giornalieri costano 11,74 euro a paziente a fronte dei 12,44 indicati da Roma ma in altre zone del Paese il conto della ristorazione aumenta del 40%; e raddoppia addirittura nel capitolo servizi di pulizie dove il Veneto eroga 6,35 euro per metro quadrato al mese contro 8,44 di riferimento nazionale e sbalzi del +100% altrove. Analogo andamento negli appalti di lavanderia dove, a parità di prestazioni, vi sono Regioni che sborsano il 120% in più dell’amministrazione veneta.
E via così, con il record dello scialo che si registra nell’acquisto di bende e rulli di garza: qui costano 0,04 centesimi ad articolo, in svariate Asl meridionali la fattura lievita a 2,6 euro: + 650%. Ma il punto non è rivendicare il primato virtuoso a fronte del malgoverno altrui. Aldilà delle chiacchiere, la conseguenza concreta di queste sperequazioni si traduce in una beffa per chi taglia e risparmia e in un premio a chi dissipa i quattrini. Perché ad oggi i tagli lineari dei governi hanno inciso sui bilanci in ordine, decurtandoli delle risorse necessarie a tamponare, sempre più affannosamente, le voragini finanziarie altrui.
Una palese ingiustizia, per di più inutile perché sanare costantemente i debiti senza garanzie di inversioni di rotta, ha accentuato – anziché diminuire – le dinamiche dei costi, fino al collasso attuale che in alcune aree ha assunto contorni criminosi. Ecco, l’applicazione di costi standard per beni e servizi – uguali per tutti, dalle Dolomiti alla Sicilia – promette di inaugurare una nuova stagione, avvertita come indispensabile anche dal governatore della Campania, Stefano Caldoro, che ha appoggiato senza esitazioni le proposte del trio nordista Zaia-Maroni-Cota.
Tant’è. Il Veneto rientra tra le regioni benchmark – l’ultimo sigillo, in tal senso, è del ministro Delrio che ha consegnato all’Ulss 4 Alto Vicentino, diretta da Daniela Carraro, l’Oscar della pubblica amministrazione – e questo nucleo virtuoso costituirà il modello nel ricalcolo dei costi con vantaggi conseguenti, per la sanità veneta, stimati intorno a 300 milioni in più rispetto alla dotazione annuale. Salvo sorprese, naturalmente.
L’intervista. Zaia: così elimineremo i ticket e finanzieremo nuovi ospedali
In Conferenza Stato-Regioni, il governatore veneto Luca Zaia ha pronunciato una requisitoria durata due ore, minacciando di abbandonare il tavolo delle trattative (insieme a Lombardia e Piemonte) e strappando infine l’assenso a un’assemblea i recalcitrante all’idea di imboccare la strada del rigore.
Ma cosa si aspetta davvero dai costi standard?
«Prima di tutto, questa è una risposta ai tassaioli convinti che la soluzione consista nello spremere sempre più i cittadini. Non è stato facile, abbiamo scontato forti tensioni, però il risultato costituisce una svolta epocale, una pietra miliare nel percorso federalista perché imporrà a tutti una gestione virtuosa dei soldi dei cittadini, capovolgendo la prassi sprecona attuale. Certo, non sarà una passeggiata per chi dovrà rinunciare a privilegi, stipendi clientelari e posti di lavoro inutili ma ora, per la prima volta, abbiamo trovato al Sud interlocutori consapevoli della gravità della situazione. Hanno ereditato disastri, penso alla Campania, auguro loro di imboccare la strada della rinascita».
Quali vantaggi concreti intravede per i cittadini?
«Beh, i benefici sono potenzialmente elevati. L’adozione dei costi standard libera risorse importanti, parliamo di centinaia di milioni, per chi amministra correttamente: noi potremo utilizzare questo surplus di denaro per realizzare infrastrutture, garantire una diagnostica all’avanguardia, valorizzare le professionalità. Dico di più: se finalmente ci restituiranno ciò che ci è stato tolto nel passato, l’eliminazione del ticket diventa un obiettivo realistico. Ricordo che la sua ultima applicazione su ricette, farmaci e visite, che abbiamo impugnato davanti alla Corte Costituzionale, è stata dettata da un “buco” di 300 milioni. Ora avremo un fondo pari ad almeno 107 miliardi da ripartire secondo criteri nuovi che, oggettivamente, finiranno col premiarci. Perciò il traguardo di una sanità veneta a costo zero per gli utenti non è un miraggio».
Non eccede in ottimismo? L’applicazione reale dei costi standard richiederà un anno e nel frattempo è improbabile che le Regioni costrette a severi tagli di spesa facciano salti di gioia.
«Le resistenze ci saranno, vanno messe in conto, ma la linea è tracciata ed io, lo dico subito per evitare equivoci, farò il cane da guardia. Capisco le difficoltà altrui, capisco l’imbarazzo del ministro Lorenzin alle prese con una sanità priva di risorse. Però, patti chiari e amicizia lunga: basta chiederci sacrifici, i veneti hanno già dato. Fin troppo».
Il Mattino di Padova – 9 novembre 2013