Elettrodomestici, televisori, mobili, materiali ferroso e plastici. Ma anche farmaci, batterie, materiale infiammabile o tossico. È finito di tutto nella discarica Melagon, nei primi anni di gestione 2001- 2003 quando l’ex cava raccoglieva i rifiuti degli 8 Comuni altopianesi (e prima della sua cessione ad Ava Srl) con la raccolta differenziata ancora da avviare.
Circa 12 mila tonnellate annue di rifiuti urbani indifferenziati conferiti nei tradizionali bidoni stradali senza alcun controllo. E sono proprio questi rifiuti che più preoccupano chi si era dichiarato contrario al sito del Melagon, ovvero Federazione speleologica veneta e movimenti ambientalisti, ancora nel 1997 e cioè al momento della sua progettazione.
CONFERIMENTO. «È abbastanza difficile avere una stima esatta dei valori di produzione dei rifiuti solidi urbani – spiega Monica Celi del comitato scientifico della Fsv – Infatti, in quegli anni venivano conferiti come Rsu i rifiuti assimilabili agli urbani provenienti dalle attività produttive e perché nella la classificazione dei rifiuti sono assenti i rifiuti urbani ingombranti ed elettronici». In più, prima della raccolta differenziata spinta, nel sacchetto delle immondizie finivano anche rifiuti urbani pericolosi come batterie e pile, batterie al piombo, farmaci scaduti e prodotti etichettati come tossici oppure infiammabili. Rifiuti che, secondo i dati del ministero dell’Ambiente, nei primi anni 2000 venivano differenziate solo per il 2 per cento. In più, dal 2003 al 2006 Melagon ha ricevuto rifiuti anche dal bacino di Schio e materiale da spazzamento stradale dai Comuni dell’area sclendense, di quella altopianese, di Arzignano e di Montecchio oltre che quelli di Autostrade per l’Italia. Solo con l’entrata in funzione dell’inceneritore di Schio, e con l’acquisizione di Melagon da parte di Ava srl, il quantitativo di rifiuti conferiti si è ridotto di molto (meno di 1.000 tonnellate annue) e la preselezione dei rifiuti viene completamente attuata.
INTERROGAZIONE. La gestione post operativa della discarica Melagon e l’individuazione di cosa fosse stato conferito nell’ex cava è oggetto di un’interrogazione al Consiglio regionale veneto presentata dal consigliere e componente della commissione regionale ambiente, Manuel Brusco. «Melagon non si doveva realizzare – spiega l’esponente del Movimento Cinque Stelle – Ma è il risultato di una schizofrenica normativa regionale che da una parte obbligava ogni Comune al conferimento dei propri rifiuti entro il proprio bacino di utenza e, dall’altra, vietava la realizzazione di discariche in aree carsiche. Purtroppo le Amministrazioni comunali dell’Altopiano degli anni Novanta hanno scelto di rispettare solo la prima normativa». Questa la presa di posizione politica. Ma ci sono anche altre voci, nel coro della discussione sul Melagon.
SPELEOLOGI. «La scelta di un’ex cava è già una scelta infelice – sottolinea Vladimiro Toniello geografico e speleologo – Significa, infatti, porre la discarica a diretto contatto con la roccia solubile e permeabile nonostante le opere di impermeabilizzazione. La cava si trova inserita nel piano di risanamento delle acque come aree a massima protezione perché zone di ricarica dell’acquifero; è alquanto curioso che lo si utilizzi per una discarica». Anche perché, c’è da aggiungere, i metalli pesanti, gli idrocarburi e le plastiche rimarranno per secoli come potenziale rischio inquinante. Inoltre, trattandosi dì un sistema carsico, così come ribadito dagli esperti, esiste la possibilità di crolli o di movimenti della roccia che potrebbero arrecare danni irreparabili al fondo della discarica. Discarica che, a sua volta, andrebbe ad inquinare la risorsa idrica più importante del Veneto. Dunque, una questione ancora molto complessa.
Discarica Melagon, la Forestale indaga
«Un possibile disastro ambientale che temiamo da tempo. Siamo stati noi a far avviare le indagini e ora vogliamo risposte e certezze». La questione del rischio inquinamento della discarica Melagon, sull’Altopiano, non interessa solo Asiago ma anche, e soprattutto, la Valbrenta. Il motivo è semplice: la discarica, attivata nel 1994 in una cava dismessa, data la conformazione carsica del territorio montano, si collega alle Grotte di Oliero. Specifici esami della tracciabilità dell’acqua, infatti, hanno dimostrato che il flusso delle precipitazioni assorbite dal terreno arriva, attraverso le grotte che collegano l’Altopiano alla Valle, direttamente nella località in Comune di Valstagna, da dove peraltro parte un efficiente sistema di pompaggio che rifornisce d’acqua buona parte dei cittadini asiaghesi. La discarica, secondo quanto denunciato dagli esponenti del Movimento 5 Stelle, poi confermato anche dal sindaco di Asiago, Roberto Rigoni Stern, potrebbe essere una vera e propria bomba ecologica pronta ad esplodere per via delle possibili infiltrazioni di percolato che dal fondo della cava colma di rifiuti potrebbero raggiungere Oliero, inquinando in modo irreversibile tutto il sistema acquifero delle grotte. Ovviamente le Amministrazioni della Valbrenta non ci stanno e puntano il dito contro delle scelte politiche sbagliate.
«Dopo delle segnalazioni, arrivate da più parti, teniamo d’occhio la situazione del Melagon già dal 2012, quando la discarica era ancora attiva – anticipa il sindaco di Valstagna, Carlo Perli -. Le perplessità sull’effettiva regolarità ambientale della discarica e sul conferimento del rifiuto secco erano molte, e sapevamo che se fossero stati commessi degli errori l’avremmo pagata noi della Valle».
Nel 2014, con il rinnovo delle cariche, che a Valstagna ha visto il passaggio di consegne tra l’Amministrazione guidata da Angelo Moro a quella attuale guidata da Perli, la nuova Giunta ha consegnato tutta la documentazione raccolta alla Forestale di Carpanè, allora guidata dall’ispettore superiore Nicola Pierotti, oggi in forza nella stazione di Enego.
«Dalla nostra documentazione la Forestale ha deciso di avviare indagini e controlli, che proseguono anche adesso – spiega Perli – e se sembra che sotto il profilo normativo il conferimento dei rifiuti sia in regola, vorremmo avere delle certezze definitive mediante degli esami specifici, ad esempio dei carotaggi della discarica. Il rischio è che il percolato del sito, se non adeguatamente trattato, possa inquinare la falda fino a Oliero».
«Bisogna capire che tutto il sistema montano è carsico e per questo collegato – spiega Perli -: se dovesse esserci un terremoto, la discarica Melagon, profonda oltre 15 metri, potrebbe collassare nel vicino Abisso Flavia, una cavità alta 170 metri, considerata la porta alle Grotte di Oliero. Il danno ambientale sarebbe incalcolabile. È stata una scelta politica scellerata, che è andata contro ai pareri tecnici, tutti negativi».
«Qualcuno mi deve spiegare perché una discarica costruita per conferire il rifiuto secco dell’Altopiano non viene più utilizzata per quello scopo – conclude Perli – Negli ultimi anni i rifiuti di Asiago sono stati mandati nel centro raccolta fra Bassano e Cartigliano, mentre alla Melagon sono stati conferiti i rifiuti di Arzignano, che prima attraversavano per pochi minuti l’inceneritore di Schio. Non capisco che senso abbia e vorrei avere certezze sugli effettivi trattamenti. Chiamatelo eccesso di scrupolo ma la tutela della salute dei cittadini è compito anche mio».
«Conferiti in discarica rifiuti non selezionati»
In Valbrenta c’è apprensione tra i cittadini e gli amministratori per la bomba ecologica della discarica Melagon, situata ad Asiago ma prossima alle cavità carsiche che collegano l’Altopiano omonimo direttamente alla Grotte di Oliero.
La discarica di circa 30.000 mq, realizzata nel 1994 nell’area di una cava dismessa, è entrata in funzione nel 2001. Sette anni più tardi, nel 2008, è entrato in funzione anche l’impianto di selezione e igienizzazione costruito al suo interno, dove vengono trattati i rifiuti, ovvero la suddivisione dei rifiuti urbani indifferenziati, prima di convogliare la parte umida nella discarica, quella secca all’inceneritore di Schio e quelle speciali a discariche adatte.
La storia della discarica è stata travagliata. Il primo progetto è stato ricusato dalla Commissione tecnica regionale perché, basandosi su uno studio della Federazione speleologica veneta del ’94, nell’ambito del progetto di monitoraggio acquee sotterranee, questa segnalava che adibire l’area in questione a discarica era particolarmente rischioso in quanto il sito del Melagon è posto sopra l’acquifero di Oliero, una delle più grosse risorgive carsiche d’Europa. Una riserva acquifera utilizzata come approvvigionamento idro-potabile sia dai Comuni dell’Altopiano sia dalla Val Brenta e da Bassanese.
Un secondo progetto quindi è stato redatto nel 1995: raddoppiava gli spessori di impermeabilizzazione della discarica. Una soluzione accettata sia dai Comuni che dalla Regione, che ottenne un finanziamento compartecipato dalla Comunità montana, dalla Regione e dalla Provincia.
«Le perplessità sulla discarica sono davvero tante – commenta Diego Lazzarotto, vicesindaco di Valstagna – In primis c’è il timore che i rifiuti non vengano trattati nel vicino stabilimento. Alcune foto scattate nel 2014 dimostrano che i sacchi vengono gettati direttamente in discarica senza essere aperti e quindi senza che i rifiuti siano divisi e selezionati. Dentro potrebbe esserci di tutto. Attediamo con ansia gli esiti degli accertamenti dell’Arpav e della Forestale, ma per togliere ogni dubbio è necessario analizzare il percolato ed eseguire dei carotaggi anche nelle zone più profonde. Ricordiamoci che se ci dovesse essere una perdita, il materiale altamente inquinante, arriverebbe ad Oliero in meno di 48 ore. Non sarebbe possibile fermarlo e sarebbe la fine per la salubrità dell’acqua e delle Grotte».
Il Giornale di Vicenza – 13 aprile 2016