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Ambiente. I conti che non tornano. Tutti inquinano la famiglia paga: accise, imposte sulle auto, tasse su rumore ed emissioni

I nuclei familiari versano il 70% in più rispetto ai danni, l’industria il 26% in meno, l’agricoltura il 93%

Lo studio del Senato: solo l’1% di quanto incassa lo Stato dalle tasse ambientali viene speso per l’ecologia

Chi inquina, in Italia, non paga. Anche se il principio (il suo contrario, ovviamente) è nel Trattato delle comunità europee dal 1986, da 31 anni. Un Focus dell’Ufficio valutazione impatto del Senato spiega che le tasse ambientali versate in Italia ammontano a 53,1 miliardi di euro (valori del 2013), il 3,2 per cento del Prodotto interno lordo nazionale, meno dell’otto per cento del gettito fiscale complessivo. Spiega, il dossier, che le famiglie italiane pagano il 70 per cento di tasse in più rispetto all’inquinamento che producono mentre le imprese, tutte, versano il 26 per cento in meno dei loro “costi esterni ambientali”. L’agricoltura il 93,4 per cento in meno.

Dettagliando, le famiglie italiane inquinano per 16,6 miliardi, l’apparato produttivo più del doppio (33,6 miliardi). I cittadini, però, pagano più delle imprese: 28,2 miliardi in imposte contro 24,8. Ed è la prima sperequazione.

L’agricoltura paga solo il 6,6 per cento (750 milioni di euro) rispetto al danno provocato (10,9 miliardi).

Nel dossier si valutano i costi da inquinamento atmosferico e rumore da traffico: pesano per 50 miliardi e 264 milioni. Le colpe per la produzione nociva sono precisamente assegnate: due terzi è delle imprese e un terzo delle famiglie. L’industria, con 13,9 miliardi, è in testa alla classifica dell’impatto: costa alla collettività tre miliardi in più dell’agricoltura. Al terzo posto per “costi esterni” c’è il riscaldamento domestico (9,4 miliardi), poi i trasporti (7 miliardi). Bene, il “prezzo da pagare” è tutto ammortizzato dalle tasse pagate. Sono perlopiù accise energetiche: l’81 per cento. Il 18 per cento sono tasse sui trasporti. Solo l’un per cento vere e proprie imposte sugli inquinanti (tributo sulle discariche, tassa sulle emissioni, imposta sul rumore degli aerei).

All’interno del comparto imprese, poi, le contraddizioni sono diverse e sostanziose. Su 62 branche, quattro non pagano quasi nulla. Il trasporto marittimo, per esempio, versa tasse pari all’un per cento dei danni provocati. Il trasporto aereo per il 6 per cento, elettricità e gas per il 16,9 per cento. Dell’agricoltura abbiamo detto. Il settore manifatturiero è in coerenza con il principio “chi inquina paga” (paga per il 94 per cento dei costi prodotti), ma qui quindici settori ne mantengono quattro, tutti fortemente inquinanti: coke e raffinazione; vetro, ceramica e cemento; metallurgia e infine industria della carta. Il mondo delle costruzioni e quello del commercio versano più del danno che arrecano, così il trasporto terrestre e gli alberghi. La farmaceutica indennizza il giusto.

Ecco, in un Paese in cui i Verdi restano da anni allo zero virgola (da soli o in coalizione), solo l’un per cento delle tasse pagate per la tutela ambientale finisce a proteggere l’ambiente: mezzo miliardo di euro su oltre cinquantatré. La greppia viene svuotata nel 99 per cento dei vasi per pagare i danni da terremoto, le missioni internazionali di pace e molte delle emergenze di finanza pubblica. Poi c’è il capitolo dei sussidi ambientali, che da soli valgono 16,2 miliardi di euro.

Molti sconti oggi vengono dati a cinque settori tra i più inquinanti: trasporto aereo, trasporto marittimo, pesca, raffinazione, agricoltura e allevamento. L’intero trasporto prende sussidi per 202 milioni.

Lo studio del Senato, curato da Andrea Molocchi, propone cinque interventi per ridare un ruolo e una giustizia alle tasse sull’ambiente senza aumentare il gettito finale (e, quindi, abbassando le imposte sul lavoro). Innanzitutto, la categoria degli automobilisti oggi paga il 10 per cento delle intere tasse ambientali, ma lo fa attraverso la leva dei cavalli fiscali, i kilowattora dei motori, che solo parzialmente esprimono il “potenziale inquinante” del guidatore.

Sarebbe meglio, si suggerisce, tassare i chilometri fatti. Si dovrebbero cancellare, quindi, l’esenzione sul combustibile del trasporto aereo e marittimo e, terzo, le agevolazioni Iva sui prodotti inquinanti. Ancora, introdurre nuove imposte su specifici inquinanti e sull’estrazione di risorse naturali scarse. Infine, battezzare la carbon tax, mantra delle associazioni ambientaliste. Il Wwf Italia ha calcolato quanto costerebbe introdurre un meccanismo fiscale sull’anidride carbonica: da 20 a 30 euro per ogni tonnellata di Co2 prodotta. La nuova tassa consentirebbe di contenere le emissioni del settore termoelettrico dell’8 per cento fino al 2020 e garantirebbe 800 milioni l’anno di maggiori entrate per lo Stato bilanciando i mancati introiti previsti dalla vendita dei diritti di emissioni (“Emission trading”). La carbon tax, incentrata sul principio citato all’inizio — “chi inquina paga”, appunto — , nelle prime stagioni di applicazione avrebbe un impatto pari allo 0,25 per cento delle intere entrate tributarie.

Repubblica – 14 dicembre 2017

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