Una cena al ristorante giapponese è spesso una occasione conviviale da condividere tra amici. Di recente, capita che nel gruppo ci sia qualcuno che, dopo le notizie sull’incidente nucleare di Fukushima, sia timoroso per un eventuale rischio radioattività e cerchi di convincere gli altri a dirottarsi su altre tipologie di ristorazione.
Il risultato, a volte, è che la comitiva si divida tra chi resta fedele a sushi e tempura e chi decide di soprassedere. L’Associazione Italiana Ristoratori Giapponesi (Airg) ha lanciato un messaggio forte: non c’è alcuna ragione per avere preoccupazioni; qualità e sicurezza sono quelle di sempre (anzi, semmai sono rafforzate da controlli ancora più intensi ). In un incontro al Consolato generale di Milano è stato anzitutto chiarito che i principali ristoranti non importano prodotti alimentari dal Giappone, ma si riforniscono direttamente da produttori in Italia o nella Ue.
È il Giappone che importa pesce (soprattutto il prelibato tonno rosso) dal Mediterraneo, e non viceversa. Quanto al riso, o viene dagli Usa oppure si tratta di qualità japonica coltivata nel vercellese: importarlo dal Sol Levante costerebbe troppo. Conferma Stefano Zani, direttore generale dei mercati Sogemi di Milano: «I ristoratori giapponesi si approvvigionano ai mercati generali. In ogni caso noi abbiamo effettuato ulteriori controlli: non è mai emerso alcun problema». Il responsabile dei mercati ittici Sogemi, Gianluca Cornelio Meglio, aggiunge: «Il pesce arriva da noi da molte parti del mondo, ad eccezione del Giappone. I ristoratori giapponesi in genere non vengono direttamente al nostro mercato, ma si avvalgono di un intermediario».
Nessun problema è emerso in proposito anche secondo Giovanni Pietro Pirola, direttore del servizio di igiene veterinaria della Asl Milano , che controlla i prodotti di origine animale (compreso il pesce importato dal sudest asiatico e dall’Oceano Indiano). Indicazione analoga da parte di Edgardo Valerio, direttore servizio alimenti e nutrizione della Asl: «Abbiamo controllato la nostra frutta e verdura senza riscontrare alcun caso anomalo. Quanto a quella importata dal Giappone, sono quantitativi minimi in settori di nicchia che non si trovano sul mercato italiano, sottoposti a controlli da parte della sanità di frontiera».
Luigi Sun, importatore di prodotti alimentari dal Giappone, chiarisce che le merci partite prima dell’11 marzo passano se dotate di dichiarazione specifica in proposito, altre sono sottoposte a controlli (quelle da 12 prefetture giapponesi non vengono più inviate). In questo momento, precisa Sun, lui non importa alghe dal Giappone. Molti prodotti a marchio giapponese destinati al mercato italiano sono prodotti in altri Paesi: ad esempio, la birra Kirin in Germania, la Asahi nella Repubblica Ceca, la Sapporo in Irlanda. L’aceto per marinare il riso è prodotto nel Regno Unito, la salsa Kikkoman in Olanda. Secondo Sun, la fascia più penalizzata dai recenti timori appare quella dei ristoranti dai prezzi più bassi (quelli in genere gestiti da famiglie cinesi), che arriva a soffrire un calo del 50% della clientela; il resto sta registrando una diminuzione intorno al 15-20 per cento. Naoko Aoki, dell’Airg, dice che è difficile in questo momento quantificare l’impatto della nuova situazione, almeno a Milano, perché il grande evento del Salone del Mobile ha comunque fatto riempire le sale.
«Nei nostri ristoranti – afferma – sono esposte spiegazioni chiare e il personale è pronto a dare tutte le informazioni necessarie ai clienti che lo desiderano». In più, l’Airg ha aderito a una raccolta di fondi a favore della Croce Rossa giapponese (a soccorso delle popolazioni colpite dallo tsunami) attraverso un conto corrente messo a disposizione dal Consolato generale: in ogni ristorante è possibile per i clienti effettuare donazioni all’interno di una apposita urna
Ilsole24ore.com – 20 aprile 2011