Il diritto di ottenere la prestazione lavorativa è indipendente dall’esercizio del potere disciplinare. In caso di inadempimento del lavoratore, il datore può dunque avvalersi dei generali strumenti previsti dall’ordinamento a tutela del creditore (come l’azione di risarcimento dei danni o l’eccezione di inadempimento) anche se non sanziona in via disciplinare la condotta del suo dipendente. Lo afferma la sezione lavoro della Corte d’appello di Potenza in una sentenza dell’8 maggio scorso.
Nel primo grado del giudizio, una lavoratrice aveva chiesto la condanna di una società al pagamento di 4.400 euro per crediti retributivi. La società convenuta aveva sostenuto che in alcune giornate la donna non aveva lavorato, mentre in altre la prestazione non aveva coperto l’intero orario di lavoro. Il tribunale aveva condannato il datore di lavoro a pagare 4.100 euro alla ricorrente, spiegando che l’omessa attivazione del procedimento disciplinare da parte del datore di lavoro dimostrava l’insussistenza degli inadempimenti.
La società ha quindi fatto appello, sostenendo che il tribunale aveva erroneamente applicato le norme del Codice civile sulla diligenza del lavoratore (articolo 2104) e l’esercizio del potere disciplinare (articolo 2106).
I giudici di appello hanno ritenuto non condivisibile il ragionamento seguito dal giudice di primo grado, perché il datore di lavoro può esercitare autonomamente le due diverse prerogative relative alla sua posizione contrattuale: quella di creditore di una prestazione lavorativa, che esercita le facoltà che spettano a qualsiasi altro creditore e che tende a salvaguardare il sinallagma e a ottenere la contropartita promessa; e quella di imprenditore, che nella sua posizione gerarchica ha un potere disciplinare, strumentale al funzionamento dell’organizzazione e alla conservazione del rapporto fiduciario con il lavoratore.
Se il datore di lavoro non ha ritenuto di esercitare le prerogative disciplinari, ciò non comporta che non possa esercitare quelle relative al suo diritto di credito. Se quindi la mancata o inesatta prestazione lavorativa è provata in giudizio, il datore, anche se non ha esercitato tempestivamente il potere disciplinare, può promuovere un’azione per danni o eccepire l’inadempimento.
La Corte tuttavia aggiunge che la mancata contestazione disciplinare aggrava l’onere della prova dell’inadempimento in capo al datore di lavoro. La società aveva prodotto le riprese dell’impianto di videosorveglianza che rivelavano come la lavoratrice non si fosse recata al lavoro in cinque giornate in cui risultava invece formalmente presente, mentre in altri giorni si era allontanata prima della conclusione dell’orario contrattuale di lavoro. Ma da una dichiarazione testimoniale di un’altra dipendente risultava che tra le mansioni informalmente affidate alla lavoratrice ve ne erano alcune da svolgere allontanandosi dal luogo di lavoro, così la Corte ha ritenuto accertato l’inadempimento solo nei giorni in cui la stessa era stata del tutto assente e ha ridotto a 3.900 euro il credito della lavoratrice.
Il Sole 24 Ore – 6 ottobre 2014