Per i dirigenti pubblici che non attivano subito il procedimento disciplinare a carico degli assenteisti scatterà la segnalazione automatica all’autorità giudiziaria, che dovrà valutare caso per caso i presupposti per il reato di omissione d’atti d’ufficio.
Anti-assenteismo. Il decreto anti-assenteismo nella pubblica amministrazione è pronto per il consiglio dei ministri con questo correttivo, chiesto da Consiglio di Stato e Parlamento e anticipato sul Quotidiano degli enti locali e della Pa dell’8 giugno. Il testo finale rafforza anche il calendario della procedura, con l’obiettivo di blindare gli obiettivi della sospensione in 48 ore e del licenziamento in 30 giorni per i dipendenti pubblici che vengono individuati in flagrante a timbrare l’entrata e poi evitare l’ufficio. Per evitare rischi, il testo finale dovrebbe prevedere che la notifica sia «contestuale» alla contestazione, in modo da far partire subito il conto alla rovescia nei casi, che a questo punto dovrebbero essere residuali, di ritardo, i 30 giorni partirebbero comunque dalla notifica. Per i dipendenti sospesi e in attesa del verdetto, infine, sarà previsto l’assegno alimentare, come accade negli altri casi di sospensione disciplinare.
Il nodo dei contratti. Insieme al via libera finale sui decreti che tagliano i tempi della conferenza dei servizi e introducono il modello standard per la Scia, il decreto anti-licenziamenti sarà il piatto forte nel menu del consiglio dei ministri, che dovrebbe approvare anche l’intesa per ridurre da 11 a 4 i comparti pubblici, siglata da Aran e sindacati il 6 aprile e passata al vaglio dell’Economia, e quindi riavviare le trattative sul rinnovo dei contratti del pubblico impiego. I tempi, in realtà, non sono immediati, perché l’intesa andrà esaminata entro 15 giorni dalla Corte dei conti, dopo di che servirà un mese per le riaggregazioni dei sindacati nei nuovi compartoni delle «funzioni centrali» (dove vengono “fusi” ministeri, agenzie ed enti pubblici) e della «conoscenza» (scuola, università e ricerca). Il contesto, insomma, si completerà ai primi di agosto, ma è probabile che le trattative vere e proprie entrino nel vivo in autunno, con il nuovo testo unico del pubblico impiego già definito. Sul piano economico, ieri la ministra per la Pa e l’Innovazione Marianna Madia ha smentito l’ipotesi di aumenti limitati sui redditi fino a 26mila euro, ma ha ribadito che «chi ne guadagna 200mila può aspettare». In pratica, l’atto di indirizzo confermerà l’obiettivo di ritocchi salariali inversamente proporzionale ai livelli di reddito, ma toccherà ad Aran e sindacati provare a trovare la quadra fra le richieste e le risorse a disposizione.
Il nodo dei contratti
Il decreto enti locali. In pista per il consiglio dei ministri c’è anche il decreto enti locali, slittato venerdì scorso perché va ancora completato il quadro delle coperture su una serie di norme per regioni autonome (a partire dai 500 milioni di compartecipazione Irpef alla Sicilia), sanità e agricoltura. Nel capitolo sugli enti locali che dà il nome al provvedimento è confermato l’azzeramento delle sanzioni da un miliardo per le Città metropolitane e le Province che hanno sforato il Patto di stabilità 2015 (si veda Il Quotidiano degli enti locali e della Pa di venerdì scorso ), già scontato dalla finanza pubblica grazie ai surplus ottenuti dai Comuni:?almeno per ora, però, non è previsto nessun ritocco alle penalità per i 126 Comuni (altri 58 non hanno mandato la certificazione secondo l’ultimo censimento) che hanno sforato i vincoli di finanza pubblica, per i quali l’Anci chiede di replicare le sanzioni soft (20% dello sforamento e 2% delle entrate correnti).
Il correttivo-investimenti. Nel cantiere del decreto entra poi il problema della frenata degli appalti prodotta dall’esigenza di adeguamento alle regole del nuovo Codice entrato in vigore senza un periodo transitorio adeguato (a maggio il valore dei bandi comunali è stato inferiore del 79% rispetto allo stesso mese del 2015). Il blocco e i tempi tecnici per superarlo adeguandosi alle nuove regole rischiano di azzoppare la ripresa degli investimenti locali prodotta dall’addio al Patto di stabilità, che la Ragioneria generale stimava fra il 10 e 15%, e di ribloccare le risorse “liberate” già a fine 2015 dal cambio delle regole per i bilanci pubblici. Il rischio, senza correttivi, è che i progetti avviati non arrivino all’aggiudicazione definitiva entro l’anno, e che quindi la spesa in conto capitale torni a congelarsi nell’avanzo di amministrazione:?per evitare il problema si studia un correttivo che permetta di mantenere libere le risorse collegate a investimenti che arrivino entro fine anno al progetto definitivo ed esecutivo, anche nei casi in cui l’aggiudicazione ritardi di qualche mese, ma sul punto la discussione è ancora aperta.
Il Sole 24 Ore – 14 giugno 2016